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Le Zeppole di S. Giuseppe

 

di Alessandro Massaro ©

La vera zeppola, c'è poco da fare, è quella fritta: era così nei ricettari antichi ed è stato sempre così anche nella tradizione galatinese. Anche la pasticceria Ascalone le friggeva (in casa, non nell'attuale laboratorio di pasticceria. Piero Tundo ricorda che le portava con un carretto da casa degli Ascalone al punto vendita in via Vittorio Emanuele II, fin quando della pasticceria non divenne proprietario Andrea Ascalone (1939-2015), il quale non sopportava la frittura. Ma altri grandi maestri galatinesi le facevano così, tra cui Gino Sabella, Uccio Marino e il maestro dei maestri Rafelino Bello e, dopo di loro, i loro più fedeli allievi e i rispettivi discendenti. La frittura in olio è assai diversa e certamente meno buona della frittura nello strutto. Quella al forno, in definitiva, è un ripiego, per chi non tollera la frittura.

Il termine zeppola è romanesco. Lo si evince da un ricettario quattrocentesco di medicina popolare (Ernst G., 1966) e del resto lo sostiene l’erudito Bartolomeo Scappi nel suo ricettario (Opera, Venezia, 1570), che fu cuoco di ben tre papi.

Il ricettario di Scappi farà da guida a numerosi ricettari gastronomici successivi, di cui la maggior parte napoletani. Perciò, nonostante la diversità di alcune ricette, i nomi dei prodotti e le relative ricette, e le seguenti evoluzioni, ci giungono fondamentalmente da Napoli e come tali si sono consolidati nelle nostre tradizioni, attraverso le esperienze delle donne di casa (inizialmente solo quelle aristocratiche e borghesi) e le mani esperte dei pasticcieri locali.

A Napoli prevale la conoscenza popolare che le zeppole siano di origini conventuali, come avrebbe riferito lo stesso Ippolito Cavalcanti, autore del ricettario gastronomico “Cucina Teorico-Pratica”, (Napoli, 1837, e successive edizioni), essendo comunque tutt’ora dibattuta la storia della ricetta della zeppola di San Giuseppe, simile alla versione attuale, poiché secondo alcuni avrebbe avuto origine nel convento di San Gregorio Armeno, oppure in quello di Santa Patrizia, mentre secondo altre fonti le prime a preparare le zeppole, così come le conosciamo oggi, sarebbero state le monache della Croce di Lucca o quelle dello Splendore. Troppo facile dare il merito sempre alle monache!

Secondo altri, nel Settecento le zeppole venivano preparate nelle strade da esperti friggitori, mentre altre fonti, attribuiscono la ricetta al celebre pasticcere napoletano Pintauro.

Vediamo invece cosa dicono i ricettari antichi…

Bartolomeo Scappi, fornisce una ricetta dal titolo: «Per fare frittelle, dal vulgo romano dette zeppolle. Cap. CXLV (Opera – Quinto Libro,  Venezia, 1570, c. 371r/v). Descrive la zeppola come una frittella, sostanzialmente a forma di palla e realizzata con una farina ricavata da ceci rossi, prima lessati e poi pestati nel mortaro, insieme a noci, zucchero e cannella, con l’aggiunta di diversi aromi, lievito e del vino bianco, probabilmente per renderle più leggere, come spiegherà quasi tre secoli più tardi Ippolito Cavalcanti.

La Ricetta di Bartolomeo Scappi è la seguente:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Dopo 57 anni, “Lo scalco prattico” (Roma, 1627) di Vittorio Lancellotti da Camerino menziona le zeppole solo come modo di impasto, suggerito sia per la ricetta dei Maccaroni (pp. 135, 160) e per quella degli Gnocchetti (p. 199), oppure come modo di cottura, per gli Gnocchetti (p. 204). Evidentemente, per le relative ricette dava per scontato il riferimento alla precedente, monumentale Opera di Bartolomeo Scappi.

 

Un altro successivo ricettario gastronomico è la “Lucerna de Corteggiani” di Giovan Battista Crisci, stavolta edito a Napoli nel 1634. Esso comprende moltissime ricette, diffuse principalmente nell’Italia centro-meridionale.

Tra queste, Crisci menziona le zeppole tra i ‘piatti caldi’ o i cosiddetti ‘frutti’. Si tratta, più che altro, di titoli di ricette da cui si evince soltanto in parte come fossero composte o guarnite le zeppole, ma non quale fosse l’esatto procedimento né quale forma avessero. In sintesi, tra i cibi ‘Caldi’ troviamo:

«Zeppole di cicinelli, serviti con zuccaro, e cannella» (p. 163),

«Zeppole scaldate, guarnite di rosmarino, zuccaro, e fiori» (p. 289)

Tra i cibi dolci, denominati ‘Frutti’, troviamo:

«Zeppole scaldate guarnite con mele, zuccaro, e fiori» (pp. 167, 170, 184),

«Zeppole ripiene di tutto cetro guarnite di fiori» (p. 289)

«Zeppole alla reale guanite di mele, succaro, e fiori» (p. 290),

 

Un altro importantissimo ricettario gastronomico napoletano arriva quasi un secolo e mezzo dopo, con l’oritano Vincenzo Corrado. Si tratta de Il Cuoco galante (Napoli, ed. 1773)

 

Nell’edizione del 1778, nel menu (p. 227): «Seconda Imbandigione» si prescrive la pietanza: «Zeppole con mele alla Napoletana». La ricetta vera e propria però si trova al Capitolo II. – Delle paste Bignè (p. 173), dove, benché non venga menzionato il nome (zeppole), si evince chiaramente che esse sono un tipico bigné Alla Napoletana (p. 174), in una tipica forma a ciambella, che compare ufficialmente per la prima volta tra i ricettari gastronomici, e apprendiamo che anche a fine del ‘700 venisse condita con miele, rosmarino e zucchero, come nelle precedenti ricette menzionate da Giovan Battista Crisci. Anche Corrado non usa mettere nell’impasto originale le uova, che invece troviamo nella sua riccetta base del bigné semplice (p. 173), né la componente grassa (strutto o burro):

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, queste zeppole non contengono ancora la crema pasticciera in cima. Sono delle ciambelle, altrimenti dette tortanetti allorquando vengono formati manualmente. Usa questo termine anche Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvino, il quale suggerisce due opzioni di frittura per le zeppole, tenendo conto dei suggerimenti sia di Scappi sia di Corrado, ossia rispettivamente in strutto o in oglio. Nella preparazione della pasta, anch’egli non aggiunge uova né la componente grassa (strutto o burro), mentre suggerisce di bollire la farina dopo aver aggiunto del vino bianco, spiegando in nota che ciò serve per produrre «il sollecito gonfiore nella padella» e che opportunamente punte, durante la cottura, «le zeppole vengono leggiere, e tutte vuote aldidentro, e per conseguenza di un grazioso gusto».

Ricetta di Ippolito Cavalcanti (Cucina Teorico-Pratica, Napoli, ed. 1852):
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non sappiamo, a questo punto, a quando risalgono le attuali zeppole con la specifica pasta bigné, che contiene uova e strutto (o burro), e guarnite con crema pasticciera. Sappiamo che attualmente esiste una significativa somiglianza tra la zeppola salentina e la zeppola napoletana, perciò è piuttosto ovvio presumere che si tratti di uno scambio di conoscenze umane, che può essersi realizzato attraverso le amicizie personali, le migrazioni familiari o l’apporto di professionisti del settore.


Ad ogni modo, questa tradizione è ben dura a morire, anche di questi tempi in cui le attività artigianali e le piccole imprese commerciali sono minacciate nella proria stessa sopravvivenza dalle amare prospettive dettate dalla politica della "distruzione creativa" dichiarata da Draghi, e l'unica garanzia su cui i nostri artigiani possono ancora contare è l'attaccamento della popolazione al piacere che l'arte gastronomica italiana (e nello specifico quella pasticciera), così ricca di storia, di creatività e passione, come poche altre cose sa dare.

Galatina, 19 marzo 2021

Zeppole ricetta di Bartolomeo Scappi.jpg
Zeppole ricetta di Vincenzo Corrado.jpg
Zeppole ricetta di Ippolito Cavalcanti.j
zeppole Pasticceria Salentina.png
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