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“Il Pasticciotto”, l’articolo di Zeffirino RIZZELLI ne “il Titano”, 15 luglio 2005. Analisi di un 'racconto'.

di Alessandro Massaro

© «Tutti i diritti riservati»
 

Il titolo di questo articolo publiredazionale, un genere che oggi potrebbe essere definito una 'fake news', chiaramente fa riferimento a un prodotto di pasticceria che l'autore, Zeffirino Rizzelli vuol sottolineare ad ogni costo essere di origine galatinese, anche (e vedremo in seguito altre più importanti ragioni per cui nasce questo articolo) per contestare, su un piano puramente competitivo, la pretesa invenzione del pasticciotto alla crema presso la città di Lecce. Infatti, alla fine del suo articolo Rizzelli dirà: «La città di Lecce lo ha riconosciuto come “dolce tipico leccese” attribuendogli una paternità che non ha».

 

Vediamo, dunque, come nasce o, meglio, come può essere stato costruito questo racconto, che in pochi anni è diventato (a suon di articoli e a furor di popolo) una "tradizione" e poniamoci delle domande, possibilmente...

 

L’ex sindaco di Galatina, cui, come noto, è stato intitolato il Palazzo della cultura della Città poco dopo la sua scomparsa, dapprima ha impostato una sorta di base storica, facendo cioè riferimento a delle memorie storiche di Galatina scritte nell'800 dal magistrato Tomaso Vanna; poi, assocerà elementi della ‘tradizione’ noti alla popolazione locale e poi altri riferimenti storici poco conosciuti, alcuni dei quali rintracciabili, altri no, in modo da creare un’ambientazione pseudostorica (poco probabile, in verità) per poi inserirvi quello che verrà prospettato come un racconto inedito e, in effetti, fino ad allora del tutto sconosciuto.

 

Questo racconto quindi avrà come punti di credibilità:

  1. la reputazione dell'ex Sindaco, in qualità di ‘uomo di cultura’ e ‘storico’ locale;

  2. la sua conoscenza di alcune citazioni estratte dagli scritti del Vanna;

  3. la sua personale conoscenza di una (presunta) fonte storica privata, inedita, e successivamente mai resa disponibile al pubblico, nonché scritta, sempre a suo dire, da un «anonimo autore»;

  4. La 'parola' del suddetto «anonimo autore», la cui attendibilità si fonderebbe solo sull'antichità del (presunto) documento.

 

Altri punti su cui il Rizzelli fa leva per conferire vigore e credibilità all’articolo:

  1. la rivendicazione della "paternità" del prodotto e il conseguente implicito appello all’orgoglio e a una convinta presa di posizione della popolazione galatinese su tale assunto;

  2. un velato appello alla comunità galatinese a non curarsi della rivendicazione leccese, ma a badare piuttosto «a gustare la saporitissima leccornia», sottolineando il fatto che la stessa ancora si produce «in quegli stessi locali dove è nata».

 

Confrontando l’articolo del Rizzelli (vedasi foto in basso a questo articolo), vedremo quali sono sia le cose illogiche o infondate che riguardano sia la sua presunta "ricostruzione storica" sia il racconto da lui elaborato in base alla "fonte storica" da lui stesso (a suo dire) consultata.

 

Per stabilire un riferimento cronologico, Rizzelli inizia a menzionare il “Decreto del Consiglio Collaterale” del 1737, e annota una citazione che servirà ad "agganciare" la presunta storia del pasticciotto a un evento che richiama il folklore e l’annessa ricorrenza locale: la festa patronale. Lo fa per conferire al 'pasticciotto' di 'Ascalone' un'aria leggendaria e al tempo stesso "popolare". E dunque, del suddetto Decreto cita la parte che recita: «che il Mastro di Mercato o Mastro di fiera da eliggersi dal Duca, dovesse essere cittadino”, a favore dell’università di Galatina».

 

La ‘fiera’ infatti è stata in passato un’occasione per praticare acquisti e scambi di merci, dove si vendevano attrezzi agricoli, manufatti artigianali, animali, ma ovviamente non poteva essere come oggi: non c’erano le bancarelle, le luminarie, la banda musicale, i bar, le rosticcerie dove generalmente ai nostri tempi trovano ristoro anche i turisti. Non vi era, insomma, nel '700 l’affluenza e la partecipazione di tanta gente forestiera come la vediamo oggi, né l’atmosfera consumistica né un’agevole attitudine all’acquisto come quelle che conosciamo.

 

Proseguiamo con il racconto.

 

Dall’alto della sua esperienza politica e amministrativa, probabilmente l’ex Sindaco di Galatina immagina che nel 1742, in previsione della prossima fiera, l’amministrazione municipale necessita di una revisione «di quello che oggi chiameremmo “il piano commerciale”».

 A questo punto, Rizzelli passa a illustrare l’identità di un presunto «bottegaio (putecaru di cognome 'Ascalone' (poi metterà tra parentesi un 'Nicola' con il punto interrogativo, come a suggerire al lettore una propria prudenza e onestà intellettuale nel trattare l’argomento), intento ad approfittare del riordino delle attività commerciali dell’Università, per trasformare l’attività del proprio esercizio commerciale, da “Alimentari e Coloniali” a “Pasticceria”, in modo da transitare «tra i “Venditori privilegiati”» (?).

 

Nella continuità del discorso, Rizzelli praticamente dà un riferimento all’inizio dell’attività pasticciera della bottega dell'Ascalone: 1742. Tuttavia, non chiarisce da cosa lo deduce. L'intenzione, probabilmente, è quella di suggerire il motivo che potrebbe aver generato l'idea, nella mente del presunto antenato degli Ascalone, di mutare la tipologia di attività commerciale.

Tali affermazioni dovrebbero comunque far nascere anche degli altri interrogativi.

Ad esempio, non si capisce perché, mutando la sua attività commerciale in ‘pasticceria’ sarebbe divenuta un’attività ‘privilegiata’. Non si spiega nemmeno perché l’Ascalone (?) si improvviserebbe pasticcere, ossia un lavoro artigianale, dopo un’esperienza esclusivamente commerciale destinata alla sola vendita (e non alla lavorazione) di prodotti alimentari e coloniali. Si rifletta come ci vogliano anni per imparare l’arte pasticciera, giacché in passato, se non si era figli d'arte, bisognava letteralmente "rubarla" a un maestro di provata esperienza. Inoltre, non vi erano pasticcerie a Galatina in quel periodo, dove poter imitare un tipo di attività del genere ovvero dei maestri pasticceri, come invece ce ne erano a Lecce. Per i prodotti 'coloniali' (cioè quelli importati dalla colonie estere), peraltro, a metà '700 esistevano le 'speziarìe', e quindi c'era lo speziale e non il generico 'bottegaio', o putecaro

 

Ma andiamo avanti con il racconto…

 

A questo punto, Rizzelli racconta del trasferimento del nuovo esercizio presso «un locale preso in fitto da Silvestro Mezio», un personaggio che peraltro non è rintracciabile in altri documenti dell’epoca. E aggiunge che la strada in cui si trova questa bottega fosse quella «che dalla Porta della Piazza conduce alla Chiesa di Santa Caterina» … Peraltro, bastava dire "dalla Piazza", non era necessario dire «dalla Porta».

 

In realtà, probabilmente egli ha usato questa espressione per dare forza a un racconto, finora sconosciuto, che non si pensasse che non sia accaduto solo perché nessuno lo conosceva prima, proprio come quella Porta d’ingresso alla Piazza, che non c’è più, ma che, volendo approfondire, si può verificare essere effettivamente esistita. Non si può verificare, invece, l’esistenza o meno del documento anonimo, che poi menzionerà. E questo non solo perché in realtà non esiste, ma anche perché se ne intende scoraggiare la consultazione (e quindi la ricerca!), in quanto si sostiene essere «privato» e quindi non di dominio pubblico. Rizzelli chiederà persino scusa, in calce, ai lettori de il Ttitano e agli attuali proprietari del documento, se non ebbe fornito, per errore, indicazioni sulla preziosa fonte in un articolo simile scritto in precedenza. Ma, alla fine non dice nemmeno chi siano questi attuali proprietari.

 

Ancora una volta, Rizzelli rimarca il legame tra il pasticciotto e Galatina aggiungendo un altro elemento del folklore galatinese. Stavolta si tratta della «casa delle sorelle Farina nel cui cortile c’è il pozzo dell’acqua miracolosa con la quale San Paolo farebbe guarire le “tarantate”». E' un ulteriore richiamo al senso della ‘tradizione’ locale, in modo da creare un ulteriore collante affettivo e pseudostorico al racconto della genesi del pasticciotto…

 

A questo punto, Rizzelli accenna a una forma di crisi della Pasticceria, dovuta al fatto che la gente è abituata a prepararsi in casa gli alimenti della tradizione: «paste e dolci, taralli e pane», sostenendo anche che l’Ascalone in quegli anni producesse e vendesse «paste e taralli».

 

Ma, arriviamo ora al 1745

 

Nel 1745, dice il nostro ‘Storico’ locale, «la situazione finanziaria dell’Ascalone è critica» …  ha anche venduto ai forestieri molte paste e taralli, nel periodo di Pasqua, «ma non tanti da risollevare le sorti» della sua Impresa. Tuttavia, per la prossima festa del Santo Patrono, continua Rizzelli, «si prevede un’affluenza di “pellegrini” più numerosa degli anni precedenti e la venuta di un numero maggiore di “tarantate” …».

 

Insomma, secondo quanto asserito dal Rizzelli, all’epoca sembra come se esistessero dei mezzi di informazione tali da consentire anche di fare statistiche, a scopi puramente commerciali, e di prevedere che in quell’anno (1745) ci sarebbe stato un maggior afflusso di gente proveniente da altre località!

Non solo, ma il nostro Ascalone, «(Nicola?)» dice Rizzelli (non si sa in base a quale documento), ha una tale, precorritrice idea del ‘marketing’ (che già per quei tempi sarebbe un fatto senza dubbio eccezionale!) da ‘arrovellarsi’ per «trovare un qualche richiamo per attrarre soprattutto “forestieri”» (ma chi: i “pellegrini”?).

 

Non dovrebbe essere difficile immaginare che all’epoca non c’erano radio, televisioni, megafoni, manifesti pubblicitari, non si praticava il volantinaggio. In buona sostanza, non si sa come avrebbe dovuto «Ascalone» richiamare dei forestieri.

 

Dunque, dagli iniziali riferimenti a scritti antichi, si Rizzelli è arrivato a descrivere dinamiche di marketing pubblicitario che possono trovare un senso logico soltanto ai giorni nostri. Ma, non è finita qui...

 

Ora (nel racconto, siamo nel bel mezzo della festa patronale), dopo che a Pasqua l’Ascalone aveva prodotto delle semplici «paste e taralli», Rizzelli ci informa che il misterioso pasticciere si accinge a produrre qualcos’altro...

Infatti, «tra un dolcetto e una torta, piuttosto nervoso, si ritrova un impasto e un po’ di crema che non sono sufficienti a manipolare un altro “pezzo”, dice il nostro anonimo cronista»...

 

... «Decide allora di utilizzare quei resti ponendoli in un piccolo recipiente di rame e facendone una piccolissima “torta alla crema”. Gli viene male. È un vero pasticcio, ma lo mette ugualmente nel forno…».

Rizzelli suggerisce così come il termine “pasticcio”, presumibilmente usato dall’anonimo cronista, avrebbe poi dato il nome al prodotto che ne sarebbe venuto fuori per caso in quell’occasione; in realtà, abbiamo visto qual è l'etimologia di pasticcio e che il termine pasticciotto esisteva già almeno dal XVI secolo, se non anche prima, e che stava ad indicare un piccolo 'manicaretto' o un piccolo pasticcio).

 

Quindi, siamo passati da delle semplici paste e taralli alle torte e ai dolci Ma, se aveva a disposizione della crema (pasticcera?), dove, quando e per quale dolce avrebbe iniziato a usarla? Da chi l’ebbe appresa la ricetta?

 In pratica, quindi, Rizzelli sta suggerendo che un anonimo cronista sta raccontando l'episodio in cui nasce il pasticciotto.

Un cronista che, stranamente, non sa come si chiama l’Ascalone, non si dichiara nè firma il (presunto) documento, ma sa come si chiama un «Silvestro Mezio» che probabilmente non è mai esistito (personalmente non ho riscontrato nessun individuo con questo nome nei Liber Baptizatorum conservati nella chiesa matrice di Galatina, nè nel Catasto Onciario di S. Pietro in Galatina del 1754); un cronista che sa pure come è nato il pasticciotto e che, senza poter sapere che sarebbe diventato famoso, gli dedica comunque «una trentina di fogli in carta bambagina»).

 

E sarebbe proprio lui, infatti, a parlare di una piccolissima “torta alla crema”. Ma, come mai si ritrova, quasi per caso, un piccolo recipiente di rame? Vuol dire, forse, che faceva già qualcosa di simile?

 

E, se l’Ascalone faceva anche le torte alla crema, ed aveva anche a diposizione delle forme di rame, come il presunto «cronista anonimo» avrebbe (?) così facilmente riferito, e persino l'«impasto» di frolla, come mai il pasticciotto non esisteva già prima? Non è che ci sarebbe voluto proprio un genio per utilizzare le tre cose già a disposizione (frolla, crema e forme di rame).

 

Insomma, questo cronista anonimo, non solo avrebbe testimoniato come è nato il pasticciotto, ma avrebbe saputo che “don Silvestro Mezio”, che passava dalla bottega dell’Ascalone tutti i giorni a metà mattinata (il Cronista evidentemente sbirciava tutti i giorni da qualche finestra, che gli consentiva addirittura di guardare nel laboratorio di pasticceria, dove poteva vedere cosa combinava il nostro pasticciere!) avrebbe anche assistito all’evento (geniale o fortuito?), visto che poi l'avrebbe assaggiato «ancora caldo».

 

Il racconto chiude in bellezza: «Nasce così il “Pasticciotto de lu Scalone”» (un'espressione coniata all'uopo dal cronista?). «Il successo è immediato; la voce si diffonde in provincia. Vengono da tutte le parti a Galatina per comprare e gustare questa specialità»... Immaginate? Con la povertà e i mezzi dell’epoca?

 

«Sono passati 260 anni. Il pasticciotto è ormai un dolce caratteristico del Salento…» E infatti, diviene talmente famoso in tutto il Salento che nessuna fonte bibliografica locale ne parla mai prima del secolo scorso. Nessuna ricetta ufficiale, nemmeno nel libro di ricette del 2003 (“le tradizioni gastronomiche di Galatina”). Nemmeno il Rohlfs ne parla nel suo Vocabolario dei dialetti salentini (1956-1959) dove parla invece del “buccunottu” leccese, di forma tonda, ripieno di crema. Nessuna menzione nel corposo Carteggio familiare di Pietro Siciliani (1850-1914)...

 

E naturalmente, solo Rizzelli ha avuto il privilegio di accedere a un documento, «un “libro di casa”» (di una trentina di fogli in carta bambagina), che però (guarda un po'!) ai galatinesi non è dato vedere, altrimenti si conserverebbe quanto meno una fotoriproduzione nel Museo di Galatina. 

 

Se esistesse un documento del genere, in realtà, non sarebbe nemmeno una prova di alcunché, ma un falso storico, perché palesemente contraddittorio rispetto alla logica, alla storia e alla realtà.

 

Prima del 2005 non si conosceva la storia della paternità del pasticciotto da parte di un ‘Ascalone’. Molti oggi rimangono increduli su questo, ma nessuno è capace di smentirlo. In effetti è così: la storiella è recente, come lo stesso Rizzelli ammette, dicendo di aver appreso dell’esistenza del "documento anonimo" e di averlo consultato solo negli anni ’50 e quindi di rivelarlo solo 55 anni più tardi!

E quindi, implicitamente, ammette di essere lui il primo a raccontarla! Perciò, non può essere una tradizione antica, se nessuno prima di lui l'ha mai raccontata! Non occorrono altre prove su questo!

 

In questo scritto, abbiamo provato a porre qualche domanda e a suggerire alcuni ragionamenti.

Spero sia servito al lettore, se non a ricredersi, a iniziare a mettere in discussione le proprie convinzioni e a capire che c’è una differenza tra l’opportunità di credere a un racconto che rechi un facile conforto al proprio orgoglio e l’utilità di servirsi del dubbio per premunirsi contro gli abusi della credulità popolare.

 

Comunque, in tutta questa facenda c'è qualcosa di verosimile. Il racconto inventato sulla storia del pasticciotto, che poi ritroveremo anche su Wikipedia e su tanti altri articoli, contiene delle trasposizioni della realtà, ma in chiave quasi metaforica:

 

  1. Il pasticciotto forse non è stato inventato a Galatina, ma certamente vi è stata inventata la sua storia; tuttavia, il fine è abbastanza ovvio: il successo della Pasticceria Ascalone.

  2. Il pasticciotto, secondo il racconto, è nato dall'impiego casuale di alcune rimanenze, ma in effetti in passato si faceva così: si recuperavano gli avanzi delle paste rimaste invendute e si rimpastavano per farne delle nuove. Non si buttava via niente.

  3. La Pasticceria Ascalone non esisteva nel ‘700 e quindi non può nemmeno aver vissuto, all’epoca, una crisi finanziaria. Al contrario, una specie di crisi c’è stata nel 2002, poiché la Pasticceria avrebbe rischiato di sospendere l’esercizio, probabilmente a causa di alcune irregolarità o di una cattiva burocrazia[1], durante il passaggio della licenza commerciale, avvenuto, poi, nel 2003, Poi si risolse, ricorrendo al pretesto di far figurare come ‘storica’ l’Impresa e i relativi locali. Solo che all'epoca in cui ciò fu pensato non era stato ancora stabilito un criterio per poter definire 'storica' una qualsiasi impresa: lo fece nel 2011 Unioncamere, in occasione del 150° anno dell'Unità d'Italia, stabilendo che per ottenere tale requisito bisognava iscriversi al Registro delle Imprese Storiche, che equivale a dire: avere almeno 100 anni di attività continuativi e dimostrarlo. Quindi, per iscriversi alla ditta 'Ascalone' sarebbe bastato dichiarare gli anni ufficiali effettivi, cioè da quando risulta avviata, secondo quanto registrato presso la Camera di Commercio di Lecce, ossia dal 1860. Invece, si stabilì come anno di inizio attività il 1742, ma compromettendo la verità storica.

Rispetto al terzo punto, si è pensato di dover creare delle prove a supporto della storicità della Pasticceria e dato che il pasticciotto (già esistente) era ormai diventato il prodotto di punta dell’Impresa, la chiave di successo è stata quella di escogitare un racconto pseudostorico nel quale associare la qualità e la notorietà del pasticciotto di Andrea Ascalone alla lunga (ma poco nota, sul piano storico) esperienza artigianale dell'Impresa di famiglia, tramandata di generazione in generazione sin dal 1882 (anno della redazione del documento della Camara di Commercio di Lecce, con cui ufficialmente Andrea Ascalone acquisisce l'impresa del padre Felice), ma senza sentire la necessità di raccontare il vero, e ricorrendo invece alla retrodatazione dell'inizio dell'attività, addirittura a 260 anni prima.

Zeffirino Rizzelli, che, lo ricordiamo, parlando in prima persona è stato il primo a raccontare questa storia (quindi nessuno della sua generazione né delle generazioni precedenti la conosceva!), forse lo ha fatto a 'fin di bene', ma un bene che ha portato beneficio a chi?

 

Certamente, la Pasticceria che ne ha beneficiato è una, principalmente, poiché oltre alla propaganda interna alla città, internet apre numerose corsie preferenziali verso il suo prodotto e la sua "storia", associata ad alcune delle principali attrazioni turistiche di Galatina, ma trascurando ogni altra attività galatinese del medesimo settore.

Chi altro ne ha beneficiato? La popolazione? Al contrario: la tendenza al campanilismo è stata alimentata da questo racconto inventato, creando anche divisioni interne, oltre all'avversione da parte di altre località per causa della facile boria con cui spesso viene sbandierato questo falso primato da quei galatinesi facili vittime di notizie false.

C'è stato un ritorno economico per tutti? Poco probabile, perché il turista non viene a Galatina per l'arte pasticciera galatinese, né per le pasticcerie galatinesi in generale, per quanto esse producano prodotti di eccellente qualità; semmai, lo stesso turista, in cerca dei posti da visitare, navigando in internet si imbatte necessariamente in articoli publiredazionali, che indicano un'unica tappa interessante, a pochi passi dal pozzo di S. Paolo da una parte e dalla Basilica orsiniana dall'altra, ossia "la pasticceria dove è (si trova scritto) nato il pasticciotto".

Ne hanno beneficiato le altre pasticcerie? Non è pensabile, perché se il turista vuole assaggiare il pasticciotto tipico, si reca direttamente lì, perché crede di stabilire un contatto diretto con una tradizione ultrasecolare, e dove peraltro viene anche indirizzato con orgoglio dagli stessi abitanti, quando il turista è in cerca di informazioni sul posto.

Ne hanno beneficiato i pasticceri? Non credo, anzi, penso che si sentano in competizione con una storia che sanno non essere vera e che non ha nulla a che vedere con la loro vera storia, la quale non viene mai raccontata, e questo è motivo di frustrazione o di disagio per loro, perché la loro attività non viene valorizzata.

Ne ha beneficiato Galatina, come prestigioso esempio di arte pasticciera? Assolutamente no: poteva farsi di meglio, perché abbiamo una storia della pasticceria molto più ricca di contributi e di prodotti, e perciò andrebbe rivalutata, sia per ristabilire il ruolo centrale che Galatina ha avuto nell'evoluzione gastronomica salentina, già dagli anni '70, sia per restituire la dignità che compete ai molti artigiani che lavorano nel settore.

Il pasticciotto 'tipico' di Galatina è divenuto un prodotto di punta dell'arte pasticciera salentina non solo per la propaganda che c'è stata negli ultimi tempi, quanto per la tipizzazione che ne ha definito i caratteri nel secolo scorso, sulla base della quale oggi viene realizzato da molti dei nostri pasticceri, ben pochi dei quali, tuttavia, hanno imparato l'arte dal celebre maestro Andrea Ascalone. Quest'ultimo, infatti, ne fece certamente il proprio cavallo di battaglia ed ebbe contribuito molto, anche indirettamente, alla propaganda di questo prodotto (più che altro il proprio, in verità!), ma sono stati altri i maestri che hanno diffuso il sapere, insegnando a produrlo, partendo da Gino Sabella, che forse fu il primo a realizzarlo negli anni 30 nella tipica forma ovale (nelle forme prodotte dagli stagnini locali) e che fu rinomato a Galatina per il pasticciotto fino agli anni '60; per finire con Uccio Marino di Lecce e Rafelino Bello di Galatina, i quali profusero le proprie esperienze e conoscenze a moltissimi futuri pasticceri galatinesi e salentini. Rafelino stesso insegnò molte altre conoscenze di arte pasticcera, di gelateria e di cioccolateria. Ed altri suoi discepoli hanno insegnato (non solo il pasticciotto) alle nuove generazioni. Alcuni di loro oggi non ci sono più (Antonio Matteo, Antonio Pellegrino, Massimo Diso, ecc.), altri ancora oggi sono anziani ma ancora attivi: il maestro Fedele Uggenti e il maestro Orazio Contaldo, tanto per fare due nomi tra i più importanti, i quali hanno fatto scuola a molti altri giovani.

Il pasticciotto galatinese, dunque, va in un certo senso ridimensionato rispetto al panorama dei prodotti docliari galatinesi, ma va anche rivalutato secondo la sua vera storia e la sua specificità, avendo influenzato la cultura pasticcera e il costume della Provincia.

NOTE:

[1] Notizia appresa privatamente da Dante De Ronzi.

[Sotto: immagine fotografica tratta da “il Titano”, 15 luglio 2005, p. 6, condivisa da V. Vergaro, Venerdì 9 marzo 2018, ore 12:49 sul gruppo Facebook: "Galatinarte storia folklore e natura"]

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