Rafelino: note biografiche del Maestro dimenticato
di Alessandro Massaro [© «tutti i diritti riservati»], 10 dicembre 2017
Raffaele Bello è nato a Galatina, da Carlo S. e Antonia Bello, il 10 dicembre del 1937.
Sua madre lo chiamava ‘Rafelino’; in questo modo era conosciuto dalla comunità galatinese ed è divenuto anche il suo nome d’arte.
Sin dall’infanzia ha abitato in via Pietro Cavoti 16. La madre teneva, assieme alla sorella Maria, un albergo-ristorante casereccio, denominato “Ristorante Margherita”, presso lo stesso edificio in cui domiciliava con i propri figli.
Ancora bambino, Rafelino era incuriosito dall’arte pasticcera, quando andava, assieme al fratello, Marcello, al “Gran Caffè” di Luigi ('Gino') Sabella, di fronte l'allora Liceo classico “Pietro Colonna”.
Negli anni ’50, sull’onda di una lenta, ma inesorabile ripresa economica, fioriscono a Galatina nuovi importanti esercizi commerciali.
Il 27 luglio 1950 riprende la propria attività di bar la ditta «Andrea Ascalone», con la successione di Filomena Ascalone a Bisanelli Alberto fu Vittorio, modificando la destinazione d’uso, sulla licenza, da «Osteria» in «Caffè e bevande di bassa gradazione alcolica», per aggiungere in seguito: «Somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e pasticceria».
Pochi mesi prima, il 2 maggio del 1950, era avvenuta l’inaugurazione del Bar delle Rose, intitolato alla società composta da: Armando Antonaci, Antonio Duma e Luigi Balena.
Antonia Bello riesce a far assumere Rafelino come inserviente, con la prospettiva di diventare, in futuro, banconista o, eventualmente, apprendista pasticcere.
Quasi assieme a Rafelino giunse il coetaneo Lorenzo (‘Enzo’) Derniolo, futuro banconista e poi pasticcere titolare del “Bar Eros”, e un più giovane Albino Tundo, destinato a svolgere esclusivamente l’attività di banconista, fin quando non avvierà una propria attività, il "Bar Piper", negli anni ‘80, dopo il "Bar Santa Lucia" di Luigi Marotta (detto: 'Luigi Maldini') in società con Giuseppe Palamà (detto: 'Pici Pici').
Erano anni in cui quei pochi bar pasticcerie esistenti in Galatina assumevano dei giovanissimi ragazzi, cui venivano assegnati i compiti più umili, come lavare a terra, lavare i vetri, lavare tazze e pentole, tutt’al più portare il caffè a domicilio o presso altri esercenti. Lavoretti che rasentavano lo sfruttamento, mentre i servizi e i prodotti offerti dal Bar alla clientela erano ancora un privilegio per pochi signori.
Poco era l’assortimento di dolci e la produzione stessa della pasticceria è ancora limitata perché commisurata alla domanda: il boom economico è di là da venire. E tuttavia, in quello stesso anno e in quelli a seguire dovrà ancora assumersi presso il Bar delle Rose qualche maestro capace di esercitare l’arte pasticcera con la prospettiva di iniziare alla stessa i giovani assunti.
Il maestro Fedele Uggenti (cl. 1948), insieme al maestro Orazio Contaldo (cl. 1951), peraltro ancora attivi, furono i principali ed affezionati seguaci del maestro Rafelino. Assieme a loro e ad altre preziose testimonianze è stato possibile ricostruire la storia del percorso professionale di Rafelino.
Sembrerebbe che Armando Antonaci, al fine di dare un impulso alla vendita di articoli di pasticceria e con l’intenzione di istruire eventualmente i giovani assunti all’arte pasticciera, nei primi anni fece venire presso il Bar alcuni pasticceri baresi, tarantini e siciliani, ma per poco tempo ognuno.
Questo perché nessuno di loro, generalmente, era propenso a insegnare i segreti del mestiere; pertanto, dopo pochi mesi di assunzione venivano sostituiti. Inoltre, i giovani dipendenti non erano ancora in grado di carpire i segreti dei maestri più grandi, perciò per i primi anni poterono ambire solo a progredire nelle mansioni di camerieri e banconisti.
D’altra parte, non sappiamo se i gestori del Bar delle Rose abbiano avanzato richiesta ai titolari di altri bar, caffè o pasticcerie presenti su Galatina di assumere temporaneamente i propri ragazzi per far fare loro esperienza.
Sono anni in cui difficilmente può ancora prevedersi un futuro caratterizzato da una crescente offerta in questo stesso settore in Galatina, tale da dar vita a una vera e propria concorrenza.
Sono pochi, d’altronde, i bar e i caffè dotati di laboratori di pasticceria e di pasticceri di esperienza.
La più importante attività pasticcera di quegli anni era quella del Gran Caffé, tenuto aperto ininterrottamente da Gino Sabella sin dal 1926 e che ebbe come apprendisti diversi futuri pasticceri, alcuni dei quali saranno allievi anche del maestro Rafelino, come: Piero Gatto e il fratello Cosimo (‘Mimino’) Gatto, Antonio (‘Uccio’) Matteo e un Andrea Ascalone, appena quindicenne (1954), ma anche pasticceri come Pietro Esposito (che poi fondò il Bar Leonardo) e altri. Proseguiva l’attività anche dell’Elis Bar, in via P.ssa Jolanda 3, dello stesso Gino Sabella, avviata il 10 ottobre 1931.
L’assortimento della pasticceria non è ancora ricco come oggi, ma lo è in considerazione del periodo storico. Le vetrine di Sabella espongono le paste secche, ma anche le bocche di dama, i torroncini, i mustaccioli, i pasticciotti, i ‘buccunotti’[1], i fruttoni, i cosiddetti ‘dolcetti della sposa’ o ‘sospiri’, gli ‘sciù’, gli africani, i taralli dolci glassati. Gino Sabella produce anche torte per le varie occasioni e dolci di pasta di mandorla, soprattutto per le ricorrenze religiose; le zeppole il giorno di S. Giuseppe.
La pasticceria Ascalone, nel 1955 assume un giovanissimo Piero Tundo (cl. 1946), che (lui stesso sostiene) porterà avanti il laboratorio quasi esclusivamente da solo, sotto la direzione di un anziano mesciu Totu o patron Totu (Salvatore Ascalone, cl. 1902), durante tutto il periodo di assenza di Andrea Ascalone (cl. 1939), che tra il ’58 e il ’59 seguirà le orme dell’amico Rafelino, in Svizzera e poi in Inghilterra, per poi rientrare in maniera definitiva nel ‘67.
Altri pasticceri galatinesi di quegli anni furono Antonio Montagna (zio dell'ex sindaco Cosimo Montagna), che produceva per lo più paste secche in un laboratorio prospiciente l’oratorio, dietro la chiesa madre, e in quello (al piano interrato) del Caffè Pietro Cafaro.
Enrico Surdo (cl. 1936) con un Fedele Uggenti di appena sette anni, da poco assunto (sempre nel 1955), erano i pasticceri presso il Caffé Sammartino in piazza San Pietro. Molti del periodo in cui operò Enrico Surdo al Sammartino, ricordano i buccunotti, gli spumoni, i dolci di pasta di mandorla ovvero la frutta martorana, imparata durante il suo periodo di permanenza in Sicilia.
I pasticciotti e i ‘buccunotti’, differenti tra loro nella forma e nel ripieno, fino ad allora erano stati prodotti entrambi solo da Gino Sabella. Soltanto dalla metà degli anni ’50 iniziano a produrli altri laboratori, come quello del Caffé “Sammartino”, in Piazza S. Pietro, la cui titolare era diventata la sorella di Carlo (titolare del "Sammartino" in piazza Alighieri, fino al 1933), Anita. Anche il “Bar dei signori” (così veniva chiamato il Bar delle Rose) li produceva, ma erano sempre contati (circa una decina di pezzi al giorno), perché questi bar erano accessibili, appunto, ancora a pochi.
Tra il 1953 e il 1954, secondo alcune testimonianze, Armando Antonaci mandò Rafelino presso lo stabilimento Caffarel di Torino per apprendere nozioni di cioccolateria.
Certamente, si trovò a lavorare come operaio, ma non è improbabile né inverosimile che in nostro curioso aspirante pasticcere abbia cercato di carpire conoscenze o qualche segreto presso degli operai più qualificati di lui, nella medesima azienda o presso altri laboratori artigianali di Torino. Questa sua scaltrezza la mise in pratica durante tutta la sua esistenza, nella smania di imparare sempre nuove cose utili alla propria attività e alla sua cultura personale.
E non era certamente la manualità che gli mancava né il senso delle proporzioni e la capacità di prendere le misure. Qualità innate che metteva alla prova nei numerosi tentativi di riprodurre in miniatura opere architettoniche con la materia a lui più congeniale: la cioccolata, appunto.
Infatti, dopo diversi mesi di esperienza a Torino, il giovane Rafelino rientra a Galatina, con conoscenze quanto meno adatte alla lavorazione e alla manipolazione della cioccolata, che ebbe modo di esibire in diverse circostanze, sempre nel laboratorio del Bar delle Rose.
Abbiamo una foto, scattata presso il laboratorio di pasticceria del Bar delle Rose, che testimonia un Rafelino, ancora diciassettenne, mentre riproduce in scala la chiesa madre di Galatina, interamente di cioccolata; un capolavoro, si può dire, per una rappresentazione, nell’insieme, architettonica e scultorea, che lascia trasparire le doti artistiche del noto Maestro pasticciere ancora ai suoi esordi, nonostante non avesse ricevuto – o almeno non ci risulta – alcuna istruzione artistica.
Per avere un’idea di come il maestro Rafelino fosse già molto avanti ai suoi tempi, rispetto a quelle che erano, ad esempio, le conoscenze sulla cioccolata, tra i pasticceri d’Italia, e la produzione della stessa a favore del mercato di massa, basti pensare che il primo spot pubblicitario della Perugina arriva nel 1957, tenendo conto che nello stesso anno, precisamente il 1° febbraio alle 20.30 va in onda la prima puntata di Carosello. Uno spot dove, per chi lo può ricordare, compaiono tra i testimonial un giovane Vittorio Gassman, e poi, tra gli altri, Corrado e Frank Sinatra.
Nel 1955, Armando Antonaci, dopo aver assunto invano pasticceri provenienti da fuori della Provincia, riuscì a ottenere il sostegno di Antonio (‘Uccio’) Marino maestro pasticcere di Lecce, che all’epoca lavorava per Lillino Marzo, titolare della “Torinese” e dell’ “Haiti” a Lecce. Quest’ultimo, a sua volta lo aveva assunto prendendolo da 'don' Dino Bovio, che aveva un Bar nei pressi della Prefettura di Lecce.
Il rapporto di collaborazione tra il maestro Uccio Marino e Lillino Marzo durò circa 5/6 anni; poi il maestro pasticcere lavorò più spesso a Galatina, mantenendo un grande rapporto con il suo miglior allievo: Rafelino.
Uccio Marino, infatti, era anche lui riluttante, in principio, a elargire le proprie conoscenze ai giovani del Bar delle Rose.
Lillino Marzo, parlando di Uccio Marino, dice che «era nu maestrone», e spiega come fece Rafelino a ottenere le sue conoscenze di arte pasticciera. Durante i primissimi tempi in cui si conobbero, racconta Lillino Marzo, «Rafelino andava da lui per imparare qualcosa di pasticceria e Uccio gli chiedeva di decorare le sue torte». Insomma, tra allievo e maestro nacque un sodalizio basato sulla cooperazione e sullo scambio di conoscenze.
Questo aspetto inedito della trasmissione delle conoscenze dell’arte pasticcera leccese a Galatina è importante per conoscere una tappa evolutiva dell’arte gastronomica dolciaria galatinese, poiché molti attuali pasticceri hanno beneficiato, anche indirettamente, di svariati influssi le cui origini risiedono in esperienze differenti, ma tutte convergenti e comunque importanti al fine di praticare delle scelte in termini di metodi di produzione artigianale.
Anche durante la sua permanenza all’estero, Rafelino torna spesso per dare supporto ad alcuni bar di Galatina. Le conoscenze di pasticceria e di cioccolateria carpite in Italia e in Svizzera sono già a ottimi livelli, ma lui deve tornare al Bar delle Rose, su richiesta di Armando Antonaci, ma quasi sempre per intercessione della madre, la quale aveva un grande ascendente su di lui. Rafelino ci va soprattutto per praticare, ma anche per iniziare a trasmettere alcune conoscenze dell’arte dolciaria ad altri promessi pasticceri. Nonostante la sua permanenza a Galatina sia limitata alle ferie, le sue conoscenze iniziano a influenzare il sapere dei suoi collaboratori galatinesi, già dalla seconda metà degli anni ’50.
Il Bar delle Rose non è l’unico a beneficiare dell’aiuto del Maestro. Il sostegno di Rafelino, infatti, sempre per il tramite di sua madre, è richiesto anche da Remo Palmieri per l’American Bar, che nel frattempo aveva aperto, intorno al 1960.
Un aneddoto narrato dalla signora Maria Luce Uggenti (d’ora in poi, solo: Maria Luce), vedova di Rafelino e peraltro nipote dello “zio Remo”, riguarda il periodo di ferie preso da Rafelino, a ridosso della festa di S. Giuseppe. Gli viene chiesto di lanciare il locale con la produzione delle famose zeppole e Rafelino si cimenta in un’impresa colossale: riempie la grande sala del Bar (attualmente a "I Vitelloni Bistrot") con centinaia di vassoi pieni di zeppole, talmente tante che Remo Palmieri, quasi incredulo di quella produzione, rimprovera Rafelino di aver osato tanto: «e ci si le ccatta tutte ‘ste zeppule?». Rafelino smette, seduta stante, di produrle e se ne va a casa. Ritorna verso le undici e mezza e vede che le zeppole sono state vendute tutte. Remo gli da una pacca sulla spalla e chiede a Rafelino di continuare a produrne, ma il giovane maestro lo manda sonoramente a farsi benedire, aggiungendo, prima di allontanarsi dal locale, per poi rimettersi in viaggio per tornarsene in Svizzera, che «a Galatina non capiscono ancora nulla», alludendo, probabilmente, a una propria visione del mondo maturata all’estero, e a come funziona il mercato del dolce evidentemente, intuendo, già all’epoca, come si sarebbe potuto sviluppare ed evolvere negli anni a seguire.
Dunque, Rafelino avrebbe lavorato con Uccio Marino per i primi due anni, dal 1955, apprendendo le prime nozioni importanti di pasticceria leccese; dopo di che, sarebbe andato in Svizzera, per poi fare ritorno in Italia saltuariamente, durante le ferie o, talvolta, mettendosi in aspettativa. La sospensione del rapporto tra Rafelino e Lillino Marzo, in concomitanza con l’assunzione di Uccio Marino presso l’American Bar, dopo il 1961, è solo momentanea. Lo stesso Rafelino, assieme a Fedele Uggenti, Orazio Contaldo e a un gruppo di giovani si troveranno spesso a produrre articoli di pasticceria e rosticceria presso i laboratori di Lillino Marzo a Lecce, e altri esercizi tra Cutrofiano, Corigliano (bar "Poker"), Galatina e Gallipoli (dai fratelli Scorrano), al rientro di Rafelino dall’estero, ovvero tra il 1968 e il 1980.
Riguardo l’esperienza di apprendimento delle tecniche di elaborazione della cioccolata a Torino, Maria Luce, sorella di Fedele Uggenti, ricorda, invece, una versione un po’ differente (o forse incompleta?) della storia di Rafelino, che le raccontò quando era ancora in vita.
Concorda, infatti, nel dire che Rafelino, ancora tredicenne, viene mandato presso il Bar delle Rose, quando non vi sono ancora dei maestri pasticcieri in grado di istruire dei giovani ai primi rudimenti dell’arte pasticciera. Poi aggiunge che Rafelino a 17 anni, quindi circa nel 1954, decide autonomamente di andare a Milano, e trova il modo di fare il cameriere in un ristorante. Lo stesso Rafelino le raccontava che, mentre serviva un tavolo ad un signore dall’aspetto importante, questi gli chiese come si chiamasse, se gli piaceva quel mestiere e Rafelino rispose, raccontando la sua storia, quali fossero le sue aspirazioni e che desiderava andare all’estero. Durante quel colloquio informale, quel signore lo invitò ad andare a cercarlo in Svizzera, offrendo indicazioni di propri indirizzi.
Quale che sia la vera storia, in ordine di tempo, fatto sta che Rafelino si recò effettivamente in Svizzera a La Chaux-de-Fonds, presso l’Hôtel Moreau, “boulevard Leopold Moreau” 43 (attualmente: Hotel Athmos, avenue Léopold-Robert 45). Il signore che aveva incontrato a Milano, era il marito di madame Moreau[2], la proprietaria dell’Hotel. Gli indicò sin da subito la pasticceria presso la quale avrebbe potuto imparare a fare il pasticciere.
La Chaux-de-Fonds si trova nel Cantone di Neuchâtel (Svizzera francese), in prossimità del confine occidentale. Già all’epoca, vi si trovava un'importante comunità di immigrati italiani, corrispondente a quasi un quarto della popolazione attiva. Tuttavia, non mancò occasione, al giovane Rafelino, dovendosi rapportare con decine e decine di altri operatori nelle cucine e chefs, oltre alle occasioni offerte dalla vita sociale nel tempo libero, di imparare varie lingue, quindi, oltre al francese, anche l’inglese e il tedesco.
Rafelino non perde occasione, a ogni suo rientro a Galatina, per far vedere cosa c’è “là fuori”. Vuole far conoscere ai colleghi e agli amici di Galatina che esiste un’altra realtà, perché nota una situazione “stagnante”, di arretratezza nella città natale.
C’è anche una testimonianza, edita in A. Liguori e G. Tundo, “Il commercio a Galatina”, Ed. Salentina, Galatina, 2004, dove viene pubblicata una foto (di seguito riportata), erroneamente datata "anni ’60", in cui compaiono un giovanissimo Rafelino insieme ad Enzo Derniolo intenti entrambi a decorare dei manufatti di cioccolato, al Bar delle Rose. Probabilmente si tratta di soggetti ispirati a cose viste da Rafelino a La Chaux-de-Fonds, forse tra il 1957 e il 1958.
Secondo Maria Luce, Rafelino in Svizzera avrebbe appreso non solo l’arte della lavorazione della cioccolata, ma molte importanti nozioni di cioccolateria e buona parte delle sue conoscenze di pasticceria e di gelateria.
È molto probabile, comunque, che Rafelino sia rimasto in Italia fino al 1957, prima di andare in Svizzera, poiché in quell’anno avrebbe dovuto svolgere le visite di leva per l’arruolamento dell’anno successivo. Infatti, sembra che Rafelino non fece il servizio militare. Molti giovani italiani, peraltro, a quell’epoca incrementarono il numero degli immigrati in Svizzera per necessità lavorative, talvolta finendo per eludere il servizio militare. A quei tempi, infatti, vigeva la norma secondo cui chi permanesse all’estero per motivi di lavoro non doveva essere rimpatriato in Italia per adempiere agli obblighi della leva.
Una cosa che certamente fece anche un amico di Rafelino, Andrea Ascalone, che lo raggiunse a La Chaux-de-Fonds circa un paio d’anni dopo.
Sin dall’inizio e durante tutto il periodo della sua permanenza in Svizzera, di tanto in tanto Rafelino tornava a Galatina per le ferie e veniva chiamato al Bar delle Rose, l’American Bar di Antonio Palmieri ('Pizzicuddhri), il Bar Eden di Ninì Cioffi sia per contribuire alla produzione sia per insegnare a dei neoassunti qualche metodo di lavorazione o qualche nuova ricetta di pasticceria.
Negli anni ‘60 «alcuni bar facevano: il fruttone o il pasticciotto, a modo loro», dice Maria Luce, «con la pasta frolla che si faceva allora: con i rimasugli...».
«Inizialmente, Rafelino questo faceva: le paste secche. Poi la pasta frolla si è evoluta, per arrivare a fare il fruttone o il pasticciotto come si fanno adesso. Rafelino ha iniziato a insegnare a tutti come si fa la pasta frolla, come si fanno i pasticciotti, i fruttoni...».
«Quando è andato in Svizzera, lì ha imparato tante altre cose: come si monta la panna, come si fanno i semifreddi... Quando è tornato a Galatina, nessuno sapeva montare la panna».
Maria Luce, mi informa che in Svizzera Rafelino conobbe una donna originaria di Cremona, più grande di lui di circa cinque anni. Si fidanzarono. Vivevano bene, si erano costruiti una posizione, negli anni. Poi, improvvisamente, nel 1962 Rafelino le dice che ha intenzione di andare in Inghilterra, voleva imparare la madrelingua, ma probabilmente sentiva di doversi rimettere in discussione, di arricchirsi di nuove esperienze e conoscenze. La fidanzata non aveva intenzione di abbandonare il proprio lavoro, lo stipendio e tutte le sicurezze acquisite insieme in quegli anni. Rafelino, però era determinato e, a un certo punto, la mise davanti a una scelta.
Racconta Maria Luce: «La mandò a fare i biglietti: uno per lui oppure due per entrambi: se avesse creduto in lui, sarebbero partiti insieme; ma lei non volle lasciare il certo per l’incerto. Di fatto, Rafelino partì da solo per l’Inghilterra...»
Gianni Stifani, che oggi ha un negozio di ferramenta in via Otranto, 21, a Lecce, sostiene di aver lavorato per un certo periodo in Svizzera assieme ad Andrea Ascalone e Rafelino presso l’Hotel Moreau, prima di lanciarsi nel campo degli orologi. Ricorda che poco prima di andare in Inghilterra, Rafelino incontrò a La Chaux-de-Fonds una persona molto vicina alla Regina Madre e diede modo di farsi notare per le sue qualità di pasticciere. Verosimilmente, in questa circostanza venne offerta a Rafelino l’occasione o una prospettiva di successo in Inghilterra, anelando nella possibilità di entrare nelle grazie della Regina Madre o forse nell’opportunità di trovare un’occupazione proprio presso l’Hotel Royal, di proprietà della famiglia reale, di cui rimane l’immagine fotografica di una riproduzione di cioccolata, da lui realizzata.
Gianni Stifani ricorda che in quel periodo Rafelino lavorava anche presso un’altra pasticceria. Così ricorda, vagamente: «era andato lì qualcuno interessato, qualcuno molto vicino alla Regina, e da li nacque l’idea di andare in Inghilterra…»
Sono in diversi, oggi, a testimoniare che Rafelino fosse lo chef della Regina Madre, e che lavorasse al Buckingham Palace. sono ricordi legati anche alle foto che aveva esposte nel suo Bar pasticceria omonimo in via Gallipoli.
Quando va in Inghilterra, dice Maria Luce, Rafelino «incomincia a fare il cameriere. Conosce abbastanza bene le lingue e, senza perdere tempo, sceglie il posto migliore dove farsi conoscere ed assumere: il Royal Hotel. Gli fanno fare un test di prova e lo assumono subito con contratto. Comincia a mostrare immediatamente tutto quello di cui è capace. Prepara le torte con tutte le decorazioni possibili in cioccolato, per far capire che lui ha piena padronanza della materia...»
Raggiunto, in breve tempo, un certo livello di qualifica presso l’Hotel Royal, «passano a fargli fare i dolci per la Regina», racconta Maria Luce. Ricorda, inoltre, che Rafelino le raccontava di aver lavorato come cameriere in uno yacth della regina, ai tempi in cui aveva trovato impiego all’Hotel Royal.
Quindi, stando ai racconti di Maria Luce, Rafelino a un certo punto, oltre a fare il pasticciere per l’Hotel Royal, riesce a ottenere contemporaneamente un posto da cameriere a bordo di uno yacht sulla Manica, dove serve, rigorosamente in smoking, a delle cene di gala, tra gente aristocratica, principi e, ovviamente, la Regina Madre. «Serviva lo champagne con una eleganza senza pari», riferisce Maria Luce, che peraltro ricorda che Rafelino le raccontava di aver comprato la propria Rolls-Royce (si tratta, in realtà, di una Daimler DB 18 Consort limousine, modello prodotto nel Regno Unito tra il 1949 e il 1953) con i soli soldi delle mance ricevute su quello yacht, mentre lo stipendio lo riusciva a mettere interamente da parte.
Ma dove si trovava questo Hotel Royal? Perché in effetti il Buckingham Palace è a Londra e non nella Manica.
A casa di Maria Luce, in soggiorno è esposto in cornice un vecchio numero del "Guernsey Star", l'unico quotidiano di Guernsey, pubblicato: Lunedi, 30 dicembre 1963.
Tra alcuni articoli, compare una foto di Rafelino intento a guarnire una delle sue creazioni di cioccolato. Si tratta della riproduzione della “Little Chapel” cioè la ‘piccola cappella’ (la più piccola al mondo) a Les Vauxbelets, in Saint Andrew, sull’isola di Guernsey. La didascalia così recita:
(in italiano)
«Sembra troppo bello per mangiarlo! Questo bel modello della Piccola Cappella a Les Vauxbelets è stato realizzato da Raffaele Bello, chef all'Hotel Royal. Il modello, ricoperto di cioccolato, con motivi di mosaico composti in zucchero a velo, viene esposto nella sala da pranzo dell'hotel. Potrà essere somministrato più tardi ad uno degli ospiti.»
Nella foto a sinistra: la Little Chapel, sull’isola di Guernsey. A destra un’altra immagine del maestro Rafelino con la riproduzione della chiesa (foto gentilmente concessa da Maria Luce Uggenti).
E in effetti, la Little Chapel si trova sull’isola di Guernsey, che è una dipendenza della Corona Britannica, con governo autonomo, situata davanti al golfo di Saint-Malo (costa francese). È l’isola più a ovest tra quelle (Isole normanne) del Canale della Manica.
Il Royal Hotel, che abbiamo già visto riprodotto in cioccolato, è situato presso Saint Peter Port, capitale (e sola città reale) dell’isola di Guernsey, stando alla testimonianza di Maria Luce, farebbe parte di una catena alberghiera di proprietà della famiglia reale inglese. Qui ha lavorato Rafelino, in qualità di chef e pasticcere.
(sopra, a sinistra un'altra immagine, più vecchia, del Royal Hotel, di fronte al porto; a destra un'immagine antica della sala, dove il maestro Rafelino ha esposto la sua riproduzione in cioccolato, durante un pranzo).
Guernsey si trova a una distanza da Londra oggi percorribile in circa un’ora e un quarto di aereo, corrispondente a circa 185 miglia (298 Km).
La Regina Madre passò in visita a Guernsey nel mese di maggio 1963, a breve distanza di tempo da quando lui stesso decise di lasciare la Svizzera, secondo la testimonianza di Gianni Stifani. Non può trattarsi di una coincidenza, quindi, se Rafelino sosteneva di aver incontrato la Regina Madre su una sua imbarcazione, poiché peraltro, trattandosi del Real Yacht Britannia, che era l’unico yacht reale itinerante, attivo dal 1954 al 1997, non si sarebbe fermato a lungo in quell’arcipelago.
Infatti, in una lista dei transiti del Real Yacht Britannia, presso l’isola di Guernsey, la Regina Madre sarebbe passata da lì, l’8 maggio del 1963, durante un tour di visite per la commemorazione del giorno della Liberazione. La stessa lista testimonia che la Regina madre era passata da Guernsey in un’altra circostanza, 18 anni prima (1945), subito dopo la guerra.
A sinistra una foto del Britannia. A destra, la Regina Madre, nel 1963.
In un resoconto delle visite del Royal Yacht Britannia a Guernsey risulta, quindi, che la Regina Madre è stata a Guernsey nel mese di maggio 1963, cioè quando Rafelino già prestava servizio all’Hotel Royal.
Questa la descrizione (tradotta) dell’evento:
«Arrivando al Royal Yacht Britannia, la Regina Madre visitò Cambridge Park ed esprimeva la sua gioia di vedere tanti bambini in attesa di salutarla. Ha parlato della sua visita 18 anni prima (1945, N.d.R.), poco dopo la Liberazione quando molti bambini non erano ancora tornati dal Regno Unito, quindi è stato particolarmente lieta di vederli tutti. Ha incontrato i rappresentanti della Divisione Infermieristica della Brigata di Ambulanza di San Giovanni e ha consumato il tè al Mausoleo di Saumarez. Il secondo giorno ha visitato Melrose e ha posto la pietra di fondazione per il nuovo Ladies College prima di lasciare il luogo con l’elicottero per una visita a Sark. La Regina Madre ha partecipato ad un ricevimento da parte degli Chief Pleas e ha pranzato al Seigneurie prima di tornare a Guernsey per una cena di gala al Royal Hotel».
La regina Madre tornerà di nuovo a Guernsey nel 1975.
Possiamo dedurre che Rafelino fece di tutto per ottenere quel posto al Royal Hotel, per incontrare la Regina Madre, che doveva passare a Guernsey in quella data, e per farsi notare. L'ha voluto e ci è riuscito!
Rafelino, infatti, fece comunque parte, in seguito, degli chefs della Regina Madre, come dimostrerebbero alcune foto, che teneva esposte nel suo locale a Galatina, negli anni ’70. Rimase comunque impiegato a Guernsey fino al 1967, l’anno in cui ebbe l’incidente stradale che lo costrinse a un periodo di circa un mese di coma e di cecità, e a seguito del quale prese la decisione di abbandonare qualsiasi occupazione all’estero e tornarsene definitivamente a Galatina.
Dunque, Rafelino ha lavorato formalmente al Royal Hotel nell’Isola di Guernsey, dal 1963 al 1967.
Anche durante quegli anni, di quando in quando prendeva le ferie, durante le quali si dedicava alla produzione di pasticceria presso vari bar e istruisce alcuni pasticceri. Presso il Bar delle Rose ha insegnato e cooperato con diversi banconisti e pasticceri: Uccio Matteo, Enzo Derniolo, Enrico Manzillo, Piero Gatto, Enrico Surdo, Leonardo Rizzo, Giuseppe Palamà, Adolfo Perrone, ecc.. Presso l’American Bar conosce un giovane Orazio Contaldo, che dal 1964 è sotto la direzione di Uccio Marino. Al Bar Eden, con l'arrivo di Piero Tundo, nel 1966, se ne va Pietro Scrimieri ('Piero Caddhripulinu' o 'Pelè'), che ha collaborato anche con Enrico Surdo al Caffè Sammartino, in Piazza San pietro. A quest'ultimo, nel 1968 andrà a dare supporto al Bar delle Rose, che oramai ha perduto Uccio Matteo ed Enzo Derniolo e dove è rimasto un giovanissimo Adolfo Perrone a fare il pasticcere. Rafelino suggerirà Pietro Scrimieri, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, di mettersi in proprio e diversificare la propria produzione da quella ordinaria, aprendo la prima pasticceria mignon a Galatina, in corso Armando Diaz. Per fare un parallelo, a Lecce il primo a importare la pasticceria mignon da Torino fu Davide Citiso, nel 1969, proponendo dei bignè a vari gusti di crema, idea che ebbe un successo enorme dal 1972.
Al Bar delle Rose, Rafelino, durante i periodi di ferie a Galatina, non mancava di fare dimostrazioni di opere di cioccolata. Adolfo Perrone (cl. 1955), per esempio, mi racconta del Castello di Windsor realizzato nello chalet. Si trattava molto probabilmente della replica di una miniatura già realizzata dal Maestro per la Regina Madre in Inghilterra. Certamente, aveva conservato tutte le misure necessarie. «Di notte, con il cioccolato da fondere a bagno maria, o con le lampadine; con il termometro per misurarne la temperatura e di fondeva tutto quanto sulle carte e i pezzi li misurava col metro: quanto era quel muro, quanto quella trave...».
Tra le altre riproduzioni in cioccolata, Maria Luce mi ha riferito che Rafelino una volta riprodusse la pompa di benzina, una volta ubicata nei pressi dell'American Bar e, di nuovo al Bar delle Rose, il Gran Palazzo del Cremlino di Mosca.
L’incidente e il rientro definitivo a Galatina.
Anche in Inghilterra, Rafelino non spreca mai tempo: ogni occasione (cercata, in realtà) è buona per andarsi a «intrufolare» nei laboratori di pasticceria più importanti. Carpisce trucchi e segreti del mestiere, continua ad affinare il proprio bagaglio culturale, non perde occasione di prendere appunti, come testimonierebbero numerosissime carte manoscritte (collezione privata), in lingue diverse.
Durante la permanenza a Guernsey, racconta Maria Luce, Rafelino conobbe la sua futura moglie, la Signora Edeltraut Langer (da lui soprannominata ‘Pozzy’), di origine austriaca, (di Salisburgo, dice Adolfo Perrone), che si trovava in Inghilterra per lavorare. La incontrò in una sala da ballo. Rafelino le offrì da bere, ma lei rispose di non voler accettare inviti del genere dagli italiani. Fece colpo su Rafelino, che, per farla breve, finì per sposarla.
Nel 1967, entrambi presero le ferie e si misero in viaggio per Galatina. Maria Luce ricorda che il figlio grande, Antonio Raffaele (‘Rari’) aveva appena un anno (nato a giugno del 1966).
Siamo, quindi, nell’estate del 1967. Finite le ferie, Rafelino rientrava con la famiglia in Inghilterra.
Giunto all’altezza di Loreto, l’accensione di una spia rossa dell'auto lo costringe a fermarsi a una piazzola di sosta. Subito dietro di lui si ferma anche un’auto della polizia stradale, chiedendo il motivo della sosta.
Mentre Rafelino inizia a spiegare le proprie ragioni, improvvisamente sopraggiunge un camion, il cui autista aveva avuto, evidentemente, un colpo di sonno. Il grosso mezzo travolse in un attimo sia l’auto della polizia e i poliziotti, che morirono sul colpo, sia l’auto di Rafelino, con la moglie e il bambino a bordo, fortunatamente rimasti illesi.
Rafelino, invece, accusò l’impatto e perse conoscenza. L’intervento dell’ambulanza fu provvidenziale per Rafelino, che fu prestamente ricoverato ad Ancona.
Per i medici, Rafelino non si sarebbe salvato. Egli stette in coma e poi non vedente per più di un mese.
Costretto alla sedia a rotelle, Felicissimo Stefano Tinivella, l'allora arcivescovo di Ancona e Numana (22 feb.1967 – 6 lug.1968), evidentemente ricoverato allo stesso ospedale per motivi di salute (tanto è vero che fu dimesso dall'incarico, per tale ragione), lo andava spesso a trovare, quasi ogni giorno. Prima che ripartisse per Lecce, il vescovo chiese di vederlo in chiesa, e gli disse che purtroppo il poliziotto che lo aveva soccorso non ce l'aveva fatta. Poi lo incoraggiò a rimettersi presto.
Con grande devozione, Rafelino fece un voto alla Madonna di Loreto e promise che se fosse tornato alla normalità, le avrebbe dedicato una sagra, qualsiasi mestiere si fosse trovato a svolgere, anche il più umile.
L’incidente stradale cambiò radicalmente la sua vita. Quasi a malincuore Rafelino tornò in patria. Memore della promessa, non mancò di creare occasioni per onorare la promessa alla «sua Madonna nera».
E infatti, Rafelino organizzò diversi eventi nel corso degli anni, totalmente gratuiti. Il gelato distribuito in quantità industriali presso il suo Bar Rafelino (futuro ‘Sebastian’, di Sebastiano Potenza) a Santa Caterina, di fronte al mare. Un evento del genere si verificò anche presso “la piscina” del Joy Club, in contrada Guidano a Galatina e presso il Bar Eden, in piazza San Pietro.
Altri eventi degni di nota furono le uova di Pasqua, realizzate in cioccolato, che con la base e il fiocco arrivavano a un’altezza di oltre tre metri e mezzo. Dopo due tentativi falliti a Casarano, per causa delle insufficienti dimensioni del locale, furono fatti due tentativi di successo: uno a Torre dell’Orso e uno a Galatina, per Carlo de Matteis, del Bar Eden. Le due forme dell’uovo erano state realizzate in policarbonato, su commissione da parte di Mimmo Tedesco di Lecce, grande amico di Rafelino sin dai primi anni '70. Erano due metà, grandi ognuna «quanto una barca». Ogni metà forma, dice Maria Luce, necessita di 2,5 quintali di cioccolato. Rafelino disponeva di una macchina per la cioccolata, che lui stesso era in grado di portare in gradazione, e che inizialmente funzionava con il termometro. Poi, quando si rovinò il termometro, Rafelino comunque conosceva la temperatura giusta (a 25°), «la sentiva con le labbra». L’uovo che fu aperto in piazza, a Galatina, conteneva circa seicento ovetti di cioccolato, che andarono a ruba, una volta rotto il grande uovo.
L’anno successivo, ci furono degli impedimenti da parte della polizia municipale, che pretese nell'immediato una formale concessione comunale per far realizzare l’evento, che purtroppo in quel giorno non ebbe luogo.
[seguirà la parte 2/2...]