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6. 2. Pasticciotto, bocconotto, barchiglia: le fonti letterarie.

di Alessandro Massaro [© «Tutti i diritti riservati»]

 

Veritas filia temporis

Quando si nomina il pasticciotto, oggi, generalmente ci si riferisce al tipico dolce salentino, comunemente noto come ‘pasticciotto leccese’.

Per tale definizione è stato riconosciuto dalla città di Lecce come dolce tipico leccese e inserito nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali redatto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ai sensi dell’art. 8 del D. lgs. 30 aprile 1998, n. 173.

Oggi è considerato il ‘re della pasticceria salentina'. Ma si tratta davvero di un’invenzione leccese ed è davvero il miglior prodotto in assoluto? La sua è davvero la ricetta originale, tanto da ritenere imitazioni degli omonimi articoli prodotti in altre regioni o illegittima la sua produzione sotto altre forme e gusti che non siano il classico 'cofanetto' di pasta frolla farcito di crema pasticciera?

 

La fama del pasticciotto scaturisce proprio dall’aggettivo ‘leccese’, che non si è reso necessario, semplicemente, per distinguerlo da altri pasticciotti meridionali come quelli campani (ad esempio quello atranese), ma per effetto di una contesa tra alcune storiche attività commerciali, leccese e galatinese, sorta sul finire del secolo scorso, circa la “paternità” di questo prodotto. Tale competizione ha dato adito alla formulazione di una serie di racconti fantasiosi, prettamente a scopo di marketing pubblicitario, che hanno anche trovato un fervido appoggio nel campanilismo delle rispettive popolazioni locali.

 

Proprio per effetto di una ridondante propaganda pubblicitaria, ben pochi sanno o riconoscono, oggi, che il pasticciotto alla crema è il prodotto di un’elaborazione piuttosto recente e, benché la sua specificità trovi riscontro in numerosi suggerimenti nei più celebri ricettari antichi, esso ha finito per assumere tale denominazione soltanto in un periodo molto prossimo all’inizio del Novecento.

 

Il termine ‘pasticciotto’, infatti, non deriva, come è stato immaginato [1], dall’increscioso aspetto, quale risultato di un primo, goffo, ma fortunato tentativo di produrlo. Esso deriva, invece, dal lemma gastronomico ‘pasticcio’ (dal latino volgare pasticĭu[m]), indicandone perciò, già in origine, le modeste dimensioni, ovvero un formato monoporzione. Un esempio antico di questo termine mangereccio è attestato già all’inizio del XVI secolo nelle lettere (1538) di Annibal Caro [2], per riferirsi a dei gustosi ‘manicaretti’ di cui ignoriamo le caratteristiche, ma molto probabilmente esso esisteva anche prima.

 

Per comprendere l’evoluzione del pasticciotto, come di altri prodotti ‘tipici’ in generale, è necessario ricorrere alle uniche, attendibili fonti letterarie sull’argomento: gli antichi ricettari gastronomici. In Italia, peraltro, abbiamo un’importante eredità letteraria tracciata, nel corso dei secoli, dal susseguirsi di questi manuali di cucina, che, seppur intervallati di diversi decenni, dimostrano di tramandare, ma anche evolvere il sapere e il lessico della disciplina gastronomica, riferendosi alle diverse culture regionali italiane e influenzandole a loro volta.

Dai ricettari antichi, quindi, è possibile risalire sia alle ricette che menzionano il termine 'pasticciotto' sia a quelle che trattano le sue componenti essenziali, crema e pasta frolla, nonché i reciproci abbinamenti.

 

Già in “Opera” (Venezia, 1570) di Bartolomeo Scappi, troviamo la prima ricetta italiana che coniuga la crema (francese, o pasticciera) a una pasta frolla (o anche sfoglia), ma tale abbinamento verrà stranamente trascurato da altri ricettari italiani successivi, per poi essere suggerito nuovamente ben due secoli più tardi. Bartolomeo Scappi, peraltro, è il primo a suggerire per questo genere di paste dolci monoporzione l'utilizzo delle forme di rame adatte alla loro preparazione. In genere, non usa il termine ‘pasticciotti’, ma pasticci e anche pasticcetti per indicare porzioni di un pasticcio, come ad esempio nei «Pasticcetti di mel’appie di cinque per pasticcio».

 

 

Dopo la ricetta chiave di Bartolomeo Scappi, quindi, nei successivi ricettari riscontriamo ben altro tipo di dolci. Diversamente, verranno ideate moltissime tipologie di vivande definite genericamente 'pasticciotti', che potevano essere a base salata o dolce. Troviamo, perciò, interessanti testimonianze in almeno tre celebri ricettari secenteschi.

Il primo, in ordine cronologico, è “Lo Scalco Prattico” di Vittorio Lancellotti da Camerino, dato alle stampe a Roma nel 1627. Usa molto il temine 'pasticciotti' e si tratta, per lo più, di preparazioni dolci, come, ad esempio, nella ricetta: «Pasticciotti di cotogni tempestati di cannelloni confetti» (p. 300); oppure in «Pasticciotti di cotogni, tempestati di pistacchi confetti, con copertorino à gelosia, di pasta di zuccaro, tocco d’oro, un piatto per Signore» (p. 278).

 

Il Lancellotti fornisce anche una ricetta, che per la prima volta suggerisce la forma ovale del pasticciotto, ma che sostanzialmente riguarda una portata di ‘pesce’. Si tratta dei «Pasticciotti in forma di navicelle, con quattro triglie per pasticcio…» (p. 230). Terremo a mente l’espressione qui utilizzata: 'navicelle', che, come vedremo, precorre la successiva adozione dei termini ‘navetta’ e ‘barchiglia’ [3].

 

Il Lancellotti utilizza poi l’espressione «Pasticciotti di cotogni» per indicare un formato monoporzione a base di mela cotogna, ma non espressamente contenuto in un involto di pasta salata o frolla. Ben prima di questa espressione, troviamo anche i «cotogni in pasticci» nel ricettario di Vincenzo Cervio: “Il trinciante” (Venezia, 1581, p. 58), mentre Bartolomeo Scappi, qualche anno prima, aveva elaborato la ricetta delle «Torte di cotogne, et di mel’appie» (Opera, Venezia, 1570, p. 208).

 

Diventerà qualcosa di più simile al pasticciotto farcito di cotognata, prodotto più di recente da alcune pasticcerie salentine, nella ricetta dolce di Vincenzo Corrado: «Pasticcetti frolli con marmellata» (Il Cuoco Galante, Napoli, 1778, p. 211). Va tenuto conto, tuttavia, che l’autore in genere utilizza il termine 'pasticcetto' come equivalente di 'pasticciotto', ossia una pasta, generalmente dolce.

 

Un altro significativo ricettario è la “Lucerna de Corteggiani” di Giovan Battista Crisci, edito a Napoli nel 1634, che comprende moltissime ricette, diffuse principalmente nell’Italia centro-meridionale. I 'pasticciotti' sono menzionati in questo volume moltissime volte, trattandosi di portate intermedie e finali, definite rispettivamente: ‘piatti caldi’ e ‘frutti’. Va aggiunto, inoltre, che in questo ricettario compaiono per la prima volta anche i 'bocconotti'.

Crisci usa i termini ‘pastetelle’, ‘pasticcione’ come anche ‘pasticciotto’, quest’ultimo evidentemente per indicare una preparazione di dimensioni ridotte o monoporzione.

Allo stesso modo, anche il ‘pasticciotto’ serve per guarnire pietanze salate più grandi, ossia funge da decorazione: «Filatelli di crapio arostiti, guarniti di pasticciotti lavorati ripieni di cose siroppate, & statuette intorno» (p. 329).
Altre volte, il ‘pasticciotto’ stesso è una pietanza e, come le ‘zeppole’, possono capitare tra i ‘piatti caldi’ o i ‘frutti’. In alcuni casi, questi pasticciotti sembrano assumere le sembianze dei nostri dolci tipici, monoporzione.

Vediamo ora alcuni esempi rintracciati nel ricettario.

Crisci propone, tra i pasticciotti, delle versioni sia ‘salate’ sia ‘dolci’, trattandosi peraltro di alimenti a base animale o vegetale. Nei titoli delle sue ricette, quindi, i pasticciotti sono o contengono cibi le cui descrizioni riguardano specie animali, parti anatomiche di animali o loro derivati, quali ad esempio: ova, osso mastro, animelle (parte delle interiora), natte, medolla, mantèca (burro), piccioni, vitella, pesce spada, ricci di mare, ecc.. Dei cibi vegetali: cetronata (da cedro), lazzarole (lazzeruole, piccolo frutto simile a una mela), mel’appie, cotogni, amendole, mandorle ambrosine, ecc.. Preparati dolci: pasta di marzapane, pasta reale (pasta di mandorla), gelo di cotogni, ecc..

Vediamo i titoli di queste ricette in dettaglio.
Tra i 'piatti caldi':

 «Nevole à pasticciotti d’ova, manteca guarnite di zuccaro» (p. 170)
 «Pasticciotti alla Francese ripieni di piccioni» (piatto Caldo, p. 174)
 «Pasticciotti in boccone ripieni di cose siroppate» (p. 177)
 «Pasticciotti ripieni di natte, cetronata, ova, & osso mastro» (piatto Caldo, p. 189)
 «Pasticciotti di lazzarole siroppate con cetronata, e zuccaro» (Secondo messo caldo, p. 294)
 «Pasticciotti in boccone ripieni d’ova, natte, e manteca»
 «Pasticciotti in boccone ripieni di zucaro, e cose dolci» (p. 266)
 «Pasticciotti di pasta reale guarniti con tonghi di zucaro» (p. 279)
 «Pasticciotti di vitella, animelle, medolla, ova, e zuccaro» (p. 312)
 «Pasticciotti di pesce spata lavorati a ricci marini con saette di capilli d’angeli stizzati d’argento, & oro» (p. 333)
 «Pasticciotti di di ricci di mare, pignoli, gelo, e latte di grano verde con coronette a torno, e zuccaro lavorato» (“Terzo messo”, p. 335)

Compaiono molti pasticciotti tra i ‘frutti’, e si tratta, in pratica, di cibi dolci o di veri e propri prodotti di pasticceria, ma non vengono mai descritti con la crema pasticcera:
 «Pasticciotti di cose siroppate guarniti d’ova mesci» (p. 285)
 «Pasticciotti di cotogni siroppati, incoronati, guarniti di capelli d’Angioli siroppati indorati» (Secondo messo, p. 330)
 «Pasticciotti in boccone ripieni di cose dolci, e zuccaro» (p. 314)
 «Pasticciotti di mel’appie siroppate, con zuccaro, e gelo» (p. 316)
 «Pasticcione à cupoletta, ripieno di pasticciotti di cetro» (“Primo messo di credenza”, p. 317)

ecc. (altri titoli di ricette verranno menzionati in seguito).

Sono interessanti le espressioni con cui il Crisci descrive brevemente le ricette, che danno un’idea di come, attraverso il gergo gastronomico e le sue successive interpretazioni regionali, siano evoluti il ‘pasticciotto’ e lo stesso ‘bocconotto’. Quest’ultimo, peraltro, sembra derivare dal primo, secondo un accostamento di termini operata dallo stesso Crisci, come ad esempio nel titolo: «Pasticciotti in boccone ripieni di cose dolci, e zuccaro» (p. 314).

Successivamente, finisce per semplificare l’utilizzo dell’espressione ‘pasticciotti in boccone’ attraverso il termine 'bocconetti' come si evince dai seguenti titoli:

«Pasticciotti in boccone ripieni di gelo di cotogni, e di zuccaro» (p. 246)

«Bocconetti di gelo di cotogna, e conserva di cetro» (p. 318).

Dunque, appare evidente l’utilizzo del termine ‘bocconetto’ in alternativa a ‘pasticciotto’, ed è semplice intuire come questo termine sia mutato successivamente in ‘bocconotto’: si è trattato solo di cambiare una vocale.

Allo stesso modo, molto più tardi, Vincenzo Corrado userà il termine ‘pasticcetto’ anziché ‘pasticciotto’, ma si sarà trattato solo di un’altra variante gergale, peraltro già utilizzata (da Bartolomeno Scappi). che a prima vista impedisce di notare, un momento dell’evoluzione delle relative ricette chiave, fornite dallo stesso Corrado, che, messe insieme, suggeriscono nuovamente la formulazione finale del pasticciotto salentino.

 

Oltre a suggerire le piccole dimensioni del preparato, con l’espressione ‘pasticciotti in boccone’, Crisci farà anche riferimento alla loro forma, usando l’espressione ‘a navetta’, perciò sottendendo anche lui la forma ovale delle ‘cassette’, simili cioè a delle piccole imbarcazioni navali, ossia richiamando la precedente espressione ‘’Pasticciotti in forma di navicelle’ di Vittorio Lancellotti.

 

In più, stavolta i pasticciotti di Crisci di questa forma sono anche “dolci”, ossia costituiti da un involucro di pasta e da una farcitura a base di amido, neutra, possiamo dire, eventualmente da aromatizzare o insaporire:

«Pasticciotti à navetta ripieni d’amito incannellato» (p. 289)

«Pasticciotti a navetta lavorati, ripieni d’amito» (p. 290)

 

I pasticciotti di Crisci, diventano poi dei dolcetti a base di mandorle sciroppate, atorrate (tostate) o in composto di marzapane:

«Pasticciotti d’amendole monde siroppate con zuccaro» (p. 163)

«Pasticciotti di mandorle ambrosine, e siroppati» (p. 286)

«Pasticciotti d’amendole atorrate guarniti di zuccaro» (p. 292)

«Pasticciotti di pasta di marzapane, con zuccaro lavorati» (p. 312)

«Pasticciotti à navetta di pasta di marzapane lavorati a sconciglio e stauta di Cupido di zuccaro sopra» (p. 322)

 

La preparazione dei ‘pasticciotti’, secondo Giovan Battista Crisci, non segue quindi una regola fissa, né per la pasta utilizzata per l’involucro né per la farcitura. Ad esempio, oltre ai pasticciotti fatti di pasta di marzapane, o altro genere di pasta, troviamo anche i «Pasticciotti fritti, ripieni di gelo, e cose sciroppate» (Ivi, p. 316).

 

Un terzo, celebre ricettario, che fa esplicita menzione dei 'pasticciotti', è quello del Cav. Antonio Latini, “Lo Scalco alla Moderna”, overo l'arte di ben disporre i conviti, con le regole piu scelte di scalcheria”, edito a Napoli, nel 1694. Si tratta di ricette (Ivi, pp. 30, 138, 166, 328) che possiamo definire ‘salate’, anche se talvolta tali pietanze terminano con una spolverata di zucchero.

Il Latini è il primo a utilizzare il termine 'barchiglie'.

Lo fa, ad esempio, in una ricetta intitolata: «Pasticci, di Bocca di Dama, fatti con Pasta frolla», nella quale suggerisce la facoltà di formare i pasticcetti «ad uso di Barchiglie» (Ivi, p. 350).

In un altro caso, utilizza lo stesso termine per denominare un genere di forme accessorie, prescrivendo cioè che la pasta «venghi ben frolla, e la metterai dentro à Barchiglie» (Ivi, p. 358).

Lo stesso Latini, utilizza infine lo stesso termine, non solo per indicare la forma da dare alla pasta o dell’accessorio atto a contenerla, ma per dare il nome a una preparazione, intitolando una ricetta: «Barchiglie» (Ivi, p. 342).

 

Anche Latini, come il Crisci, usa il termine 'bocconotti'; ad esempio nella ricetta «Bocconotti alla Genovese», che ne prescrive la frittura:

«Farai la pasta frolla, con Butiro, Zuccaro, e Rossi d’ova; ne formerai Bocconotti, a proportione, riempendoli di Midolla, e Cocuzzata piccata, v’aggiungerai, Rossi d’ova fresche, Cannella, un po’ d’Acqua d’odore; ne formerai Bocconotti; gli friggerai in buono Strutto ò Butiro; cotti, che saranno, te ne potrai servire, per Piatto, ò per Regalo de’ Piatti, come più di piacerà, con Zuccaro sopra, overo Ambivera; che sarà un Piatto assai nobile» (Ivi, p. 356).

 

Oltre questi celebri ricettari, non ve ne sono altri nel ‘600 e nel ‘700, che menzionino espressamente il ‘pasticciotto’, tanto meno in associazione alla frolla e alla crema pasticcera.

Un simile accostamento lo troviamo, tuttavia, già nel ‘500, nella già citata “Opera” (Venezia, 1570) di Bartolomeo Scappi. Si tratta della prima ricetta che assembla la crema (pasticciera) francese a una pasta (frolla o sfoglia) e a delle forme (vasi) di terra (cotta) o di rame, dal titolo significativo: «Per fare pasticci in diversi modi di composizione di crema»[4] .

Tale ricetta, già di per sé piena di suggerimenti utili, tuttavia prescrive di riempire «d’essa compositione», ossia di crema, la «cassetta del pasticcio sfogliata, et non sfogliata», ma non di ricoprirla con dell’altra pasta, come occorrerebbe fare per formare il tipico ‘cofanetto’ del celebre pasticciotto salentino.

Il risultato finale dei pasticci di Bartolomeo Scappi è del tutto simile alle tipiche paste francesi [5], ossia generalmente sprovviste, superiormente, della copertura di frolla.

 

Il Cuoco Galante” (Napoli, 1773) di Vincenzo Corrado ci fornisce ulteriori tratti evolutivi del pasticciotto, anche se non ne fa esplicitamente menzione. In genere, usa termini come: paste, pastette, pasticcetti, bocconi, bocconotti.[6] Tra questi ultimi, ad esempio, troviamo i «Bocconotti alla Caramella» (Ivi, p. 215) e i «Bocconotti alla Regina» (Ivi, p. 199):

 

«Delle altre paste delicate - [Bocconotti] Alla Regina. – Fatte piccole cassettine di pasta frolla, e cotte al forno, s’empiranno di pasta di uova faldicchere, mettendoci in mezzo delle amarene giulebbate, e coverte con pasta di merenghe, si faranno rappigliare al forno, e si serviranno.»

Per descrivere la relazione tra una farcitura dolce e una preparazione di base atta a contenerla, il Corrado usa l’espressione «tra la pasta sfogliata» oppure «tra la pasta frolla» (Op. cit., ed. 1778: Trattato XII – Delle Torte dolci, e paste bigné – Capitolo I, pp. 167 ss.).

In altre circostanze, degli involucri di frolla vengono descritti dal Corrado come ‘casse’ o ‘cassettine’ (come in B. Scappi: «cassetta del pasticcio sfogliata, et non sfogliata»), termini utilizzati in altri ricettari per definire anche le formelle accessorie utili a formare l’involucro di pasta frolla.

In altri casi ancora, il titolo della ricetta prescrive espressamente l’assenza di copertura della pasta, come ad esempio nei «Pasticcetti scoverti alla marmellata» (Ivi, p. 215). Diversamente, prescrive anche che, dopo la cottura e la successiva farcitura, le paste vengano «coverte con pasta merengata».

Come abbiamo già accennato, dunque, Vincenzo Corrado non usa mai il termine pasticciotti, bensì pasticcetti, già adoperata da Bartolomeo Scappi Pasticcetti di mel’appie di cinque per pasticcio») e da Antonio Latini (che abbiamo visto usare, invece, anche il termine pasticciotti).

Il Corrado non fa un’associazione diretta delle due componenti principali: frolla e crema pasticciera. Possiamo, tuttavia, cogliere alcuni suoi suggerimenti significativi, in particolare nelle due ricette dei «Pasticcetti sfogliati alla Crema» e dei «Pasticcetti frolli con marmellata» (Ivi, p. 211). Quindi, è sufficiente immaginare di intercambiare le rispettive componenti: ‘crema’ e ‘pasticcetti frolli’, per ottenere dei “Pasticcetti frolli… alla crema”!

 

Dopo il Corrado, sarà Ippolito Cavalcanti, nel suo ricettario (Cucina teorico-pratica, Napoli, 1837) a fornire una serie di ricette di torte e dolci monoporzione, e, più in generale, di metodi di preparazione, ingredienti, prescrizioni, suggerimenti e combinazioni che possono essere serviti a guidare, in maniera del tutto spontanea, verso la ricetta finale del pasticciotto alla crema.

Tenendo conto di questi suggerimenti, non è del tutto ingiustificato ritenere che gli attuali pasticciotti campani farciti con crema e amarena si fanno risalire alla ricetta delle bucchinotte di amarene del Cavalcanti che, in realtà, non prevede la crema per la farcitura. Tuttavia, il Cavalcanti fornisce altre ricette con la crema pasticciera, come ad esempio: le «Tartoline (tartelettes) alla crema pasticciera».

 

 

Il suggerimento più interessante che fornisce il Cavalcanti, tuttavia, è come ricoprire le paste dolci. Nella ricetta delle bucchinotte di amarene dirà, infatti, che è necessario formare due pettole, cioè due pezzi tondi di frolla schiacciati, dei quali uno verrà plasmato all’interno della forma, per formare l’involucro di pasta destinato a contenere la farcitura, mentre l’altro è destinato a chiuderlo superiormente, una volta farcito:

«Piglia nu ruotolo de sciore, miezo de zucchero, e miezo de nzogna, dudece rossa d'ova, ni pucurillo de sale, e mbasta buono, stienne chesta pasta co lo laniaturo, ne farraje na pettola doppia quanto a no dudice carrino,e furmarraje li bucchinotte dint'a lle forme, nge miette la mbottunatura d'amarene e po l'auta pasta,  accussì farraje li bucchinotti, li farraje cocere a lo furno e po li sformarraje accongiannoli dinto a lo piatto».

In pratica, è il metodo per produrre il pasticciotto o, meglio, il bucconotto, perché molto probabilmente si tratta ancora della forma tonda! (Cavalcanti usa l’espressione: casseruola ovale, che non è riferito alle forme per le paste monoporzione; inoltre, non usa i termini: navicella, navetta, barchiglia e simili, come hanno fatto, invece, gli autori dei ricettari precedenti).

Un’altra nota interessante, che avvicina le ricette di Vincenzo Corrado alla pasticceria salentina più del Cavalcanti e di chiunque altro, è la ricetta della crema [7], che non prevede l’impiego del burro.

Lo stesso Bartolomeo Scappi, facendo riferimento alla crema francese, ben prima che si chiamasse ufficialmente crême pâtissiere [8], include nella sua preparazione il burro [9]. La qual cosa rende ben differente la crema pasticciera francese dalla crema pasticciera italiana.

Un’altra caratteristica rende distante le bucchinotte napoletane del Cavalcanti dal pasticciotto salentino, poiché, pur conoscendo e menzionando il termine ‘pasticciotto’, l’autore ne suggerisce una diversa farcitura (mbottunatura).

Infatti, nella ricetta «Pizza doce co la pasta nfrolla» suggerisce la farcitura «de sceroppata, de janco magnà, o de recotta» (pp. 396, 397), aggiungendo la frase: «Co la stessa pasta, e co la stessa mbottunatura può fa pure li pasticciotti».

 

Il pasticciotto non verrà più menzionato da altri due celebri ricettari ottocenteschi, ossia: né il Nuovo cuoco milanese economico […] di Giovanni Felice Luraschi (Carrara, Milano, 1853), che dedica ai dolci e alla pasticceria l’intero Capitolo XVI («Dei dolci in generale», pp. 280 - 367), né il Trattato di cucina, pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria di Giovanni Vialardi (Torino, Tip. G. Favale e C., 1854).

Nemmeno Pellegrino Artusi farà mai menzione del 'pasticciotto', pur avendo consultato molti ricettari precedenti e collaborato, per la redazione delle successive edizioni ampliate del suo manuale di cucina (La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, pubblicata per la prima volta nel 1891), con diverse donne [10]. Da ciò si deduce anche che i pasticciotti menzionati nell’inventario redatto il 27 luglio 1707 rinvenuto a Nardò, presso l’archivio della Curia Vescovile[11], non dovessero necessariamente contenere la crema: pensarlo, significherebbe metterlo erroneamente in relazione con quanto fa parte oggi del sapere comune.

 

In un modo o nell’altro, quindi, il pasticciotto tipico salentino è un’elaborazione recente, come anche il suo “cugino” buccunotto alla crema. Dal momento, però, che il nostro Paese è stato impegnato, nella prima metà del secolo scorso, in ben due guerre mondiali, di questo periodo non avremo, facilmente, alcuna testimonianza scritta dei prodotti tipici. La prima fonte letteraria risale, infatti, alla seconda metà del ‘900.

[continua…]

NOTE

1. Cfr. Zeffirino Rizzelli, Il pasticciotto, in “Il Titano”, supplemento economico de “Il Galatino”, ed. 15 luglio 2015, p. 6.

2. In particolare, alla fine di una lettera (30 aprile 1538) indirizzata a Silvestro da Prato scrive: «Fatela distendere al nostro Comico, perché sia a ordine alla nostra tornata. Intanto, venendo egli a Roma prima di noi, buttagliene in canna qualche pasticciotto, come solete, per rintuzzarlo quando vi dà la baja della vostra Tita. Di Velletri, alli 30. d’Aprile. 1538.». Un altro indizio del genere si trova in un’opera del poeta e drammaturgo Pietro Corelli, intitolata: Fra Girolamo Savonarola: storia del secolo XV, A. Fontana, Torino, 1850, pp. 261, 266.

3. Il termine barchiglia, che poi vedremo anche in altri ricettari, verrà utilizzato per denominare sia le formelle accessorie per la preparazione delle paste sia un dolce tipico pugliese, in alcuni casi simile a un fruttone di grosse dimensioni, in altri a un buccunotto (tondo) alla crema, come sostiene Gerhard Rohlfs.

4. Opera di Bartolomeo Scappi, Larte Et Prudenza Dun Maestro Cuoco, Libro Quinto, Cap. 65., ff. 237r/v, ovvero anche al Cap. 45 dell'edizione del 22 marzo 1570, ff. 293r/v.

5. Lo stesso Bartolomeo Scappi, peraltro, fa riferimento alla pasticceria francese, anche perché dei pasticcieri francesi facevano parte della medesima “Confraternita dei cuochi e pasticcieri di Roma”, cui lui stesso entrerà a far parte sin dal 1560. Cfr. June Di Schino, Furio Lucchichenti, Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo Scappi e la Confraternita dei cuochi e dei pasticcieri, Gangemi, Roma, 2008, p. XXX. Lo stesso Bartolomeo Scappi, peraltro, fa riferimento alla pasticceria francese, anche nell’introdurre questa ricetta, scrivendo: «La crema è vocabolo Francese, et è fatta di fior di farina, latte, et ova…»

6. Fornisce anche una serie di ricette per ciascuna categoria di prodotti di pasticceria, tra le quali quali: torte, gattò, biscotti, bignè, croccanti, ecc..

7. «Crema gialla semplice. — Varie specie di Creme del latte si possono formare, secondo i varj ingredienti; eccone la dose che puol servire per regola di tutte, crescendola però o diminuendola secondo i varj gusti. Per due carafe di latte si prenda una libra di zucchero fino, dieci gialli d’uova, e tre once di fior di riso. I gialli d’uova, zucchero, e fior di riso con un poco di latte si dimenino ben bene in una Cassarola , che formino un composto, il quale maggiormente poi si sciolga col rimanente del latte. Questa composizione si passerà per setaccio in altra Cassarola, nella quale vi si metteranno grossi stecchi di cannella, e corteccia di limone. In questa maniera si metterà a cuocere lentamente, girandola sempre con mestola di legno verso la medesima parte. Quando, sarà addensata, si caverà la corteccia di limone, e cannella, e si dimenerà ( fuor del fuoco ) ben forte per farla divenir morbida; dopo sì verserà nel piatto, e si servirà fredda, con pane di Spagna sotto». Cfr. V. Corrado, op. cit.: Trattato IX – Del Latte. – Capitolo II – Delle Creme., p. 115.

8. La prima volta compare nel titolo Crême Pâtissiere, in uno dei più celebri ricettari antichi, ossia: “Le Nouveau Cuisinier royal et bourgeois”, di François Massialot, edito a Parigi nel 1691 [pp. 191, 192]. La ricetta prevede ancora l’impiego del burro; la traduco qui: «Crema pasticciera – Se volete usarla più volte, dovete battere dodici uova, bianche e gialle.  Una volta battute, dovete mettere una buona mezza libbra di farina, meglio più che meno, e battere tutto insieme. Aggiungerete quindi un'altra dozzina di uova che continuerete a diluire con il resto. Nel frattempo, disponete di circa due quarti e mezzo di latte e mettetelo in una grande casseruola in proporzione all'ebollizione. Quando cuocerà, versate il tutto e mescolate. Ha bisogno di un po 'di sale, circa mezzo chilo di burro, un po' di pepe bianco e cuocere bene, facendo attenzione che non si attacchi al fondo. La vostra crema è densa e cotta, la versate in un'altra padella e la lasciate raffreddare. Quando vorrete fare le torte, prendetene secondo le dimensioni delle torte che volete e mettetele in una casseruola. Vi mescolerete bene con la gâche, o spatola, e aggiungete zucchero e scorza di limone, verde e candito, un po' di acqua di fiori d'arancio, alcuni tuorli d'uovo e, nei giorni grassi, del midollo di manzo o grasso di manzo fuso. Tutto è ben speso e disfatto, formate le vostre torte una pasta sfoglia e fate un piccolo bordo dopo di che versate la crema. Quando la torta è quasi cotta, deve essere glassata e servita come dessert. Per i giorni magri, invece del midollo di manzo, mettiamo del burro fuso».

È interessante sapere come lo stesso Massialot fornisca anche una ricetta della Crême à l’italienne, stavolta senza burro, di cui fornisco, anche qui, una traduzione: «Crema all’italiana – Fai una buona pinta di latte, a seconda delle dimensioni del tuo piatto: fai bollire questo latte con lo zucchero e un po 'di stecca di cannella, per dare più sapore, e un chicco di sale. Non appena bolle, prendi un grosso piatto d'argento con una stamigna (una specie di spatola, n.d.R.); mettici quattro o cinque tuorli d'uovo freschi: e tutto in una volta passa il latte con le uova tre o quattro volte. Dopodiché devi mettere il tuo piatto nel forno di campagna, che è molto dritto (alto? N.d.R.), versarlo dentro e accendi il fuoco sopra e sotto, finché la tua crema non è ben tolta; e servirla calda. Se a tutte queste creme vogliamo mettere della crema al latte, saranno molto più delicate».

9. Proseguendo la ricetta di scappi, infatti, egli scrive: «… per tanto piglisi una foglietta di latte di capra, e di vacca fresco, e si mescoli con quattro oncie di zuccaro, et quattro oncie di butiro fresco, et un poco di acqua rosa, et sale a bastanza, et si metta al fuoco dentro nella cazzuola, et come comincia a bollire habbisi un’altra mezza foglietta di latte con oncie quattro di fior di farina, et sei ova battute, et ogni cosa si mescoli insieme con essa farina, et buttisi nella cazzuola, mescolando sino a tanto che pigli corpo, poi cavisi, et pongasi in setaccio chiaro, et lascisi scolare…».

10. Lo stesso Artusi ammetterà che il suo manuale, ampliato, fosse «il risultato di scambi epistolari di Artusi con le sue lettrici, come egli stesso dichiara in numerose divagazioni, e rappresentano tutte le regioni italiane, novità assoluta rispetto ai precedenti ricettari», come viene specificato nelle note di introduzione alla Garzantina della Cucina.

11. Si tratta del documento redatto in occasione della morte di Mons. Orazio Fortunato, nel quale si legge un elenco di masserizie tra le quali vengono menzionate: «barchiglie di rame da far pasticciotto numero otto».

 

 

 

 

 

 

4 Antonio Latini Lo Scalco alla Moderna
6 Ippolito Cavalcanti Cucina Teorico Pra
3 Giovan Battista Crisci Lucerna de Cort
2 Vittorio Lancellotti da Camerino Lo sc
5 Vincenzo Corrado Il Cuoco Galante 1778
1 Bartolomeo Scappi Opera.png
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