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4. Sulle origini del pasticciotto salentino: storia delle sue componenti essenziali.

di Alessandro Massaro [© «Tutti i diritti riservati»]

Veritas filia temporis

 

Come abbiamo accennato in precedenza, la pasticceria salentina trova i suoi antesignani nella cucina francese e nei più antichi ricettari italiani.

Per risalire all’attuale ricetta del pasticciotto leccese bisognerà ricorrere, perciò, alle conoscenze che ci sono pervenute dal passato, attraverso la letteratura gastronomica. Ciò servirà, infine, anche a sfatare alcuni luoghi comuni.

Intanto, bisognerà ricordare che il pasticciotto si compone di due preparati essenziali, cioè dalla pasta frolla e dalla crema pasticcera.

Nelle fasi iniziali delle mie ricerche sul web, ho riscontrato l’esistenza dell'idea, piuttosto comune, secondo la quale sia la pasta frolla sia la crema pasticcera possano essere piuttosto recenti e risalire addirittura alla fine dell’Ottocento. Non è così!

Dunque, andremo a verificare a quando presumibilmente risalgono questi due preparati e quale è stata grosso modo la loro evoluzione, seguendo alcune testimonianze letterarie gastronomiche antiche.

La crema pasticcera

La crema pasticcera deriva, senza dubbio, da antiche conoscenze francesi, poi confluite nei ricettari italiani cinquecenteschi, come vedremo meglio in seguito.

Tra le più celebri creme francesi (o presunte tali) ricordiamo la crema chantilly, e la crème brulée; ma se quest’ultima è stata attribuita a François Massialot, trovandosi in un suo ricettario del 1691, l’invenzione originale della crema chantilly è stata erroneamente attribuita a François Vatel. Trattandosi della ricetta, per capirci, della ‘panna montata’, e da non confondersi con la ‘crema diplomatica’ o ‘crema chantilly all'italiana’ (data dall’amalgama tra la panna e la crema pasticcera), la sua ricetta è stata in realtà già riportata in ricettari più antichi ovvero, in ordine cronologico, da Cristoforo Messi detto Sbugo (1549), da Bartolomeo Scappi (1570) e da Lancelot de Casteau (1604). Esisterebbe anche una variante, con l’impiego di bianco d’uovo, in una ricetta inglese del 1545.

 

Eppure, è lo stesso Bartolomeo Scappi a suggerire la derivazione della crema, ancora una volta, dall’arte culinaria francese, e lo fa nel suo ricettario intitolato “Larte Et Prudenza Dun Maestro Cuoco”. Mi sono preso la briga, quindi, di trascrivere quanto da lui asserito:

«Per fare pasticci in diversi modi di composizione di crema. Cap. 65. La crema è vocabolo francese, è fatta di fior di farina, latte e uova, per tanto piglisi una foglietta di latte di capra, e di vacca fresco, si mescoli con quattro oncie di zuccaro, quattro nocie di butiro fresco, e un poco di acqua rose, e sale abastanza, e si metta al fuoco dentro nella cazzuola, e come comincia a bollire habbisi…»

[il testo continua alla pagina seguente del ricettario (Bartolomeo Scappi, Larte Et Prudenza Dun Maestro Cuoco, Libro Quinto, cc. 237r/v)]

 

Dunque è chiarissimo: «La crema è vocabolo francese...» ed anche la ricetta, poiché è anche specificato che si ottenesse con farina, uova, latte (di capra e vacca), zucchero, burro, acqua rose e sale, dunque ben diversa dalla crema chantilly, e più simile invece alla crema pasticcera che conosciamo oggi, che, tuttavia, essenzialmente non contiene il burro.
Lo stesso Bartolomeo Scappi, quindi, include nella sua preparazione il burro, facendo riferimento alla crema francese, ben prima che venisse chiamata ufficialmente crême pâtissiere, tenendo conto che Bartolomeo Scappi, facendo parte della Confraternita dei cuochi e dei pasticcieri di Roma, dal 1560, conosceva dei cuochi e pasticcieri francesi che ne facevano parte poco più di vent'anni prima di lui.

Il nome crême pâtissiere compare per la prima volta in uno dei più celebri ricettari antichi, ossia: “Le Nouveau Cuisinier royal et bourgeois”, di François Massialot, edito a Parigi nel 1691 [pp. 191, 192]. La ricetta prevede ancora l’impiego del burro; la traduco qui:

 

«Crema pasticciera – Se volete usarla più volte, dovete battere dodici uova, bianche e gialle.  Una volta battute, dovete mettere una buona mezza libbra di farina, meglio più che meno, e battere tutto insieme. Aggiungerete quindi un'altra dozzina di uova che continuerete a diluire con il resto. Nel frattempo, disponete di circa due quarti e mezzo di latte e mettetelo in una grande casseruola in proporzione all'ebollizione. Quando cuocerà, versate il tutto e mescolate. Ha bisogno di un po 'di sale, circa mezzo chilo di burro, un po' di pepe bianco e cuocere bene, facendo attenzione che non si attacchi al fondo. La vostra crema è densa e cotta, la versate in un'altra padella e la lasciate raffreddare. Quando vorrete fare le torte, prendetene secondo le dimensioni delle torte che volete e mettetele in una casseruola. Vi mescolerete bene con la gâche, o spatola, e aggiungete zucchero e scorza di limone, verde e candito, un po' di acqua di fiori d'arancio, alcuni tuorli d'uovo e, nei giorni grassi, del midollo di manzo o grasso di manzo fuso. Tutto è ben speso e disfatto, formate le vostre torte una pasta sfoglia e fate un piccolo bordo dopo di che versate la crema. Quando la torta è quasi cotta, deve essere glassata e servita come dessert. Per i giorni magri, invece del midollo di manzo, mettiamo del burro fuso».

È interessante sapere come lo stesso Massialot fornisca anche una ricetta della Crême à l’italienne, stavolta senza burro, di cui fornisco, anche qui, una traduzione:

 

«Crema all’italiana – Fai una buona pinta di latte, a seconda delle dimensioni del tuo piatto: fai bollire questo latte con lo zucchero e un po 'di stecca di cannella, per dare più sapore, e un chicco di sale. Non appena bolle, prendi un grosso piatto d'argento con una stamigna (una specie di spatola, n.d.R.); mettici quattro o cinque tuorli d'uovo freschi: e tutto in una volta passa il latte con le uova tre o quattro volte. Dopodiché devi mettere il tuo piatto nel forno di campagna, che è molto dritto (alto? N.d.R.), versarlo dentro e accendi il fuoco sopra e sotto, finché la tua crema non è ben tolta; e servirla calda. Se a tutte queste creme vogliamo mettere della crema al latte, saranno molto più delicate».

Successivamente, troviamo il suggerimento dell’aggiunta della buccia di limone grattugiata nella crema nell’anonimo ricettario settecentesco “Mirandolina in cucina”, che ripropone alcuni piatti della gastronomia veneziana.
Ma maggiori suggerimenti vengono forniti da Vincenzo Corrado ne Il Cuoco Galante, 1773, tutt'ora ritenuti validi, perfino il suggerimento di aggiungere il sale per esaltare il dolce. Sulle creme dedica un intero capitolo e la prima è la più simile alla crema che conosciamo oggi, peraltro senza l'agigunta del burro:

«Trattato IX – Del Latte. – Capitolo II - Delle Creme. (cfr. ed, 1778, p. 115; ed. 1820, p. 121) - Crema gialla semplice. — Varie specie di Creme del latte si possono formare, sccoiftlo i varj ingredienti ; eccone la dose die puoi servire per regola di tutte, crescendola però , ó diminuendola secondo i varj gusti, e secondo il numero delle persone. Per due carafe di latte si prenda'una libra di zucchero in giulebbe denso, dieci gialli di uova, e due once di fior di riso. I gialli di uova , zucchero', e fior di riso con un poco di latte si dimenino ben bene in una cassarola , che formino un composto , il quale maggiormente poi si sciolga col rimanente del latte; questa composizione si passerà per setaccio in altra cassarola , nella quale vi si metteranno grpssi stecchi di cannella, e corteccia di limone. In questa maniera si metterà a cuocere lentamente, girandola sempre con mestola di legno verso la medesima parte. Quando, sarà addensata, si caverà la corteccia di limone, e cannella , e si dimenerà ( fuor del fuoco ) ben forte, per farla divenir morbida , dopo sì verserà nel piatto , e si servirà fredda. È da sapere, che se in tutte le cose in cui entra nella manovra lo zucchero , ed anche nell’ impasto delle paste dolci vi si metterà un pizzico di sale, questo farà la cosa più gustosa, perchè avvalora la parte melata dello zucchero».

Successivamente, troveremo di nuovo l’impiego del burro nella ricetta della crema di Ippolito Cavalcanti, nel suo celebre ricettario: Cucina Teorico-pratica (Napoli, 1839):

«37. – Crema pasticciera al limone o cannella. – Fate bollie mezzo litro di fiore di latte, con una scorza di limone sottile o d’arancio, o cannella intiera: mettete 20 gram. di farina bianca con 6 rossi d’uovo entro tegame, mescolate bene, aggiungete un pizzico di sale, versate il fiore di latte tramenando sul fuoco finché incomincia a legarsi, fatela cuocere adagio 10 minuti, sbattendola forte finché resti ben liscia, mischiatele un ettogr. di zucchero bianco pesto, passatela alla stamigna, aggiungete un ettogr. di butirro chiarificato, un ettogr. di marzapani dolci con qualcheduno amaro, sbattetela ben liscia, morbida, e servitevi all’occorrente, e per ripieni di torte, pasticcetti d’Artois, ecc.»

Pellegrino Artusi nella sua opera "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" (Edd. 1891-1910), indirizzata pur sempre ad una classe borghese («s'intende bene», precisa Pellegrino Artusi, «che io in questo scritto parlo alle classi agiate»), non aggiunge grosse novità. Suggerisce il motivo dell’impiego della farina nella ricetta della crema pasticciera quale ingrediente addensante: «Crema pasticcera: Crema con la farina onde riesca meno liquida».

Riporto, di seguito, due ricette dell'Artusi, di cui la seconda definita "alla francese":
 

«685. CREMA

Latte, un litro.

Zucchero, grammi 200.

Rossi d’uovo, n. 8.

Odore di vaniglia.

Lavorate prima i rossi d’uovo collo zucchero e poi versate il latte a poco per volta. Per sollecitarne la cottura potete mettere il composto a fuoco ardente, ma appena lo vedrete fumare rallentate il calore onde non avesse a impazzire. Se questo avviene passate la crema per istaccio. La cottura si conosce quando la crema si attacca al mestolo, il quale va mosso continuamente all'ingiro. L'odore dateglielo poco prima di levarla dal fuoco. Questa crema, senza farina od amido, nella proporzione suddetta, si presta mirabilmente per gelati di crema, tantoché sentirete un gelato che difficilmente troverete ai caffè. Può servire anche per una zuppa inglese liquida, unendovi, quando è diaccia, delle fette di pan di Spagna o dei savoiardi leggermente bagnati nel rosolio; ma se volete renderla ancor più grata, aggiungete pezzettini di candito tagliati sottilissimi

 

Pellegrino Artusi dà una descrizione della «crema alla francese», ma possiamo ben notare che la stessa differisce dalla famosa crema pasticciera che abbiamo visto codificata da Massialot e forse è proprio da questa pubblicazione dell'Artusi, che ebbe una notevole diffusione, che nasce l’equivoco che la crema pasticciera non contenga il burro:

«688. CREMA ALLA FRANCESE

[…]

Latte, mezzo litro.

Zucchero, grammi 150.

Uova, uno intero e rossi n. 4.

Colla di pesce, fogli n. 2.

Odore di vainiglia o di scorza di limone.

Mescolate bene insieme lo zucchero colle uova, aggiungete il latte a poco per volta e per ultimo la colla in natura. Ponete la cazzaruola al fuoco, girando continuamente il mestolo sempre da una parte e quando la crema comincia a condensare, attaccandosi al mestolo, levatela. Prendete uno stampo liscio, col buco in mezzo, tale che la quantità della crema possa riempirlo, ungetelo col burro oppure col rosolio, in modo che ne resti in fondo un sottile strato e versatela nel medesimo. D'estate ponete lo stampo nel ghiaccio e d'inverno nell'acqua fresca e sformatela sopra a un tovagliuolo ripiegato sul vassoio. Se non vi fidate troppo del latte, dategli una bollitura almeno di un quarto d'ora prima di far la crema, oppure aumentate un foglio di colla

 

Altri ricettari ottocenteschi, molti dei quali anonimi, e novecenteschi riproporranno più o meno gli stessi consigli dei suddetti ricettari antichi, attingendo dagli uni e dagli altri, ma non è possiblie stabilire quali abbiano effettivamente influito nelle conoscenze che hanno portato ad elaborare la crema pasticciera in area salentina.

La pasta frolla

 Anche la ricetta della pasta frolla non è recente. Alcuni ritengono che sia dovuta al differente utilizzo che si è fatto dei suoi ingredienti, nel tempo e a seconda del ceto sociale di appartenenza, ad esempio sostituendo lo strutto con il burro, ovvero utilizzando alimenti di origine animale o vegetale nella cucina tradizionale secondo le credenze o le usanze legate al calendario liturgico. Tuttavia, si può osservare attraverso i ricettari di Bartolomeo Scappi che in realtà questi ingredienti venivano utilizzati entrambi a seconda del loro specifico impiego o dei metodi di preparazione delle vivande. Solo per fare un esempio, sia lo strutto sia il lardo potevano essere utilizzati, opportunamente liquefatti al calore, per friggere.

Ad ogni modo, poiché la pasta frolla è frequentemente utilizzata in passato, e per questo consigliata in molti ricettari antichi, ripropongo qui alcuni esempi di ricette, più o meno recenti, di autori famosi che ne prescrivono l'impiego.

Nell’Ottocento, nella “Cucina Teorico-pratica” (Napoli, 1839) di Ippolito Cavalcanti troviamo, ad esempio, una ricetta intitolata «Pizza doce co la pasta nfrolla», dove per ‘pizza’ si intende una specie di torta:

 «Piglia miezo ruotolo de sciore fino ma chello de la speziale no quarte de zuccaro scuro e no quarto de nzogna no poco poco de sale sei rossa d ova fresche e no poco de limone o purtuallo grattato mpasta ogne ncosa ma senza mesarla tanto ca si no addeventa toasta ne farraje doje mmita de la pasta schianannola una co lo laniaturo; farraie la pettola soccia soccia nce miette sa sciurata de score e l arravuoglie chiano chiano attuorno a lo laniaturo piglia lo ruoto che t ahattuorno a lo laniaturo piglia lo ruoto che t ahbesogna nce faje n auntata de nzogna e po nce miette la pettola de la pasta tagliannone co lo cartiello tuto chella che spoerchia atturno; e la mbuttunarraje de sceroppata de janco magna o de recotta com te piace ncoppa nce miette l auta pettola de pasta e la farraje cocere o ou lu furno o co lo iesto» 

Nella ricetta successiva dello stesso ricettario, il Calvalcanti consiglia lo stesso preparato e lo stesso ripieno per i ‘pasticciotti’:

«Co la stessa pasta, e co la stessa mbottunatura può fa pure li pasticciotti» (!)

Quest’ultimo particolare ci suggerisce, e ci conferma, che i pasticciotti fossero già stati inventati e che prevedessero l’impiego di un ripieno diverso dall’amarena che troviamo nella ricetta dei bocconotti campani («Bucchinotte d'amarene» di Ippolito Cavalcanti, Cucina Teorico-pratica, Napoli, 1839).

 

Nella ricetta della «Torta di fravole alla napoletana» (fine ‘700) Francesco Leonardi, dopo aver dato la descrizione del procedimento asserisce che «I cuochi napoletani la fanno con la pasta frolla».

 

Vincenzo Corrado fornisce ne Il Cuoco Galante (1773) la ricetta della «Pasta per pasticci Mezza frolla»:


«La mezza frolla si forma con tre libbre di fior di farina, sei gialli d’uova una libbra di burro ed un poco di sale (alcuni amanti del dolce ci mettono una mezza libbra di zucchero) e tanta acqua che resti di giusta morbidezza».

 

Tra le basi di pasta usate dai francesi per fare croste di torta, la pasta frolla è più simile alla pâte sablée, prevedendo quest’ultima l’impiego del burro freddo di ossia evitandone il surriscaldamento, come invece deve avvenire per la pâte sucrée. Queste paste si differenziano ulteriormente con la la pâte brisée per il motivo che quest’ultima non prevede l’impiego dello zucchero.

 

Nel pasticciotto salentino, per comporre la frolla si usa, non sempre ma preferibilmente, lo strutto invece del burro.

Qualcuno ha intravisto nel ricettario di Guillon Tirel detto Taillevent (n. 1310 ca., Pont-Audemer - 1395), "Le Viandier", il prototipo della pasta frolla, ma forse si tratta per lo più di un una pasta antenata della pâte brisée, che può essere utilizzata indifferentemente per vivande dolci o salate (nello stesso ricettario, Tirel utilizzava molto lo zucchero, ma soprattutto per le pietanze a base di carni).

Una ricetta dolce, che può lontanamente far pensare alla pâte brisée, è la «Darioles de cresme» che prevedeva un impasto composto, invece che di farina, di mandorle pestate mescolate a fondo con una crema di burro ‘fricte’ (fritta?); questo composto sarebbe stato infornato e, una volta acquisita una certa consistenza, si sarebbe aggiunta della crema di mandorle, precedentemente messa da parte, e infine una spolverata di zucchero a velo:

«Darioles de cresme. Soient broyés amandes, et non guères passées, et la cresme fort fricte au beurre, et largement sucre dedens»

(Guillon Tirel, Le Viandier, c. 77)

Tra l'altro, la prima versione di questo lavoro è stato datato intorno al 1300, circa 10 anni prima della nascita di Tirel. Dunque l’autore originale è in realtà sconosciuto, ma non era affatto raro che ricette medievali o della prima età moderna venissero plagiate da altre raccolte, per poi essere integrate con materiale aggiuntivo e presentate come il lavoro di autori posteriori.

Viceversa, abbiamo notato (vedi l’elenco dei ricettari) che alcuni tra i ricettari antichi più famosi sono anonimi. Ciò mi porterebbe a pensare che tali opere letterarie si siano potute realizzare mediante la raccolta di ricette, edite o inedite, alcune delle quali potrebbero costituire dei plagi, integri o parziali, da altri ricettari preesistenti, senza aver potuto o voluto ricorrere alla citazione dei rispettivi autori.

Questo dovrebbe far riflettere su alcune cose, ad esempio anche su come, delle volte, alcune ricette possano essere state variate o essere nate spontaneamente o casualmente per poi essere state tramandate semplicemente con lo scambio di esperienze o con la pratica congiunta del maestro e dell’apprendista, ma senza mai essere codificate e date ufficialmente alle stampe.

Persino la ricetta del pasticciotto di oggi potrebbe facilmente essere frutto di un’evoluzione fatta di piccole variazioni, perfezionamenti e poi di una trasmissione dell’esperienza diretta, non scritta, degli “addetti ai lavori”, alla cui origine quindi non è possibile risalire con certezza.

 

Abbiamo visto, quindi, la storia degli elementi chiave della composizione del pasticciotto: la pasta frolla, la crema e persino le formelle di rame, in uso già ai tempi in cui si producevano i bocconotti, ma evidentemente le circostanze che hanno permesso l’utilizzo della formella monoporzione per preparare per la prima volta il pasticciotto alla crema non ci sono note, e forse non le conosceremo mai.

Tuttavia, vedremo che delle tracce significative riguardanti il nome 'pasticciotto', i suggerimenti necessari all'abbinamento degli ingredienti fondamentali che fin qui abbiamo osservato e il metodo di preparazione sono già presenti nei ricettari antichi.

1 ottobre 2015

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