9. Appunti di storia: caffetterie e pasticcerie di Galatina, tra '700 e '900.
di Alessandro Massaro [© «Tutti i diritti riservati»], 10 febbraio 2017
Veritas filia temporis
Le origini e la storia delle caffetterie e delle pasticcerie a Galatina sono pressoché sconosciute, a parte la leggenda, nota e comunemente accettata, riguardante l’invenzione del pasticciotto, nel 1745, da parte di un antenato della famiglia Ascalone, proprietaria della celebre Pasticceria omonima.
Evento, quest’ultimo, che può essere tutt'altro che ignorato, in quanto testimoniato da innumerevoli articoli, che l'accreditano come fatto storico, e dalla premiazione del 2012 rilasciata da Unioncamere e dalla Camera di Commercio di Lecce, riconoscendo il 1745 come data di inizio dell’attività della suddetta Pasticceria.
E chi non ha conosciuto il grande maestro Andrea Luciano Ascalone (Sogliano C., 2/1/1939 – Galatina, 10/8/2015), la sua innegabile conoscenza dell'arte pasticciera, la sua consapevolezza delle più o meno recenti vicende storiche di Galatina, la sua ospitalità e quell'innata teatralità comunicativa, in grado di intrattenere la clientela e di rendere particolari quei momenti trascorsi nella sua antica bottega, durante l'acquisto o la degustazione dei suoi prodotti.
Conoscenze in parte probabilmente ereditate dal padre Salvatore, "mesciu Totu", anch'egli pasticciere, e in parte apprese sin dall'età di 15 anni, da giovane apprendista presso la pasticceria "Gran Caffè" di Gino Sabella (testimonianza fornita da Antonio Coluccia, un suo amico di adolescenza), sita su Corso Re d’Italia, dove oggi ha sede l’ "Hospital’ s.a.s.".
Due cartoline in cui compare il Gran Caffé di Gino Sabella. Quella di destra è datata 1929, mentre il defunto figlio di Luigi, Orazio Sabella, mi ebbe riferito che l'attività fu avviata tra il 1930 e il 1931; nel fascicolo conservato presso l'archivio storico (Registro delle Imprese, ditte cessate, N. 15111) della Camera di Commercio di Lecce, la data ufficiale è il 23/09/1932]
In molti sono d’accordo nel dire che comunque, all’epoca del “Gran Caffè” di Luigi ('Gino') Sabella e del caffé pasticceria “Sammartino”, che ebbe un’attività dapprima in piazza Alighieri (dove poi rilevò il locale Pietro Cafaro) e poi in piazza S. Pietro, la pasticceria di Galatina, oltre a non avere un grande assortimento, non fosse nemmeno di alto livello come lo è oggi.
I principali prodotti dell’epoca erano: i tarallini zuccherati, i 'mustaccioli', le bocche di dama, i dolcetti della sposa (con sopra una ciliegina candita e ricoperti da una glassa bianca o colorata), i fruttoni, simili, come abbiamo visto, ai 'bocconotti' calabresi ovvero alla varchiglia alla monacale di Cosenza. In effetti, c’erano anche i ‘buccunotti’, ma molti ritengono che in passato questo era il nome dei pasticciotti sia a Galatina che in poche altre città salentine.
La nipote di Gino Sabella, la Sig.ra Gilda Turlo (figlia di Arturo e Giuseppina Sabella), sostiene invece che suo zio avesse un notevole assortimento e che grazie al suo nome esportasse anche alcuni suoi prodotti all'estero, in America. Ricorda anche che suo zio (classe 1909) avesse iniziato a frequentare una pasticceria di altri Sammartino, forse di Santa Cesarea Terme, già a dieci anni e che la propria attività fu avviata già nel 1926, l'anno in cui preparò un assortimento di pasticceria in occasione del matrimonio (31 ottobre 1926) della sorella.
Sempre secondo la Sig.ra Gilda Turlo, oltre i dolci sopra menzionati, Gino Sabella faceva anche: le paste alla frutta (poi 'fruttoni', in origine composti da: pasta frolla, marmellate a pezzi, ricoperti superiormente con le mandorle), gli sciù (da: 'choux', la pasta per fare il bignè), i bignè, le paste secche, le zeppole, gli spumoni, ovvero i pezzi duri. Inoltre, con la pasta di mandorla produceva manualmente o mediante formine da lui stesso elaborate, ogni genere di frutta, pesci e agnelli pasquali. La Sig.ra Gilda Turlo racconta che una volta fece anche un agnello di pasta di mandorla di ben 28.00 Kg. Faceva delle torte molto buone e produceva sia il pasticciotto sia il buccunotto. Quest'ultimo era di forma tonda, a differenza del pasticciotto di forma ovale, e conteneva pasta di mandorla, tipo fruttone, e/o pezzetti di mandorla. Inoltre era più raso nella parte superiore, che tuttavia non era ricoperta con la glassa al cacao, come invece oggi lo è il fruttone galatinese (a Lecce si fa con il cioccolato fondente; in passato si chiamava 'barchiglia' ed era di dimensioni maggiori).
Un'altra notizia interessante della Sig.ra Gilda Turlo è che da Gino Sabella sarebbero passati alcuni maestri pasticceri del secolo scorso, tra cui Pietro Esposito (che poi avviò il bar "Leonardo"), Antonio ('Uccio') Matteo (del "Mini Bar"), i fratelli Piero e Mimino Gatto (che ebbero vari bar: in Corso Re d'Italia, Corso Garibaldi, Piazza Fortunato Cesari). Fedele Uggenti, invece, sostiene che Antonio Matteo e i fratelli Gatto avrebbero attinto alle conoscenze di Rafelino (Raffaele Bello, Galatina 10/12/1937 - 18/12/1997), di cui lui stesso fu uno stretto e affezionato discepolo.
In effetti, "lu buccunottu" ha un nesso con il bocconotto meridionale e probabilmente evolve anch'esso dalla varchiglia calabrese, e comunque risale a molto tempo fa. Si distingue, infatti, dal pasticciotto per la forma tonda e il ripieno cambia a seconda delle regioni meridionali, potendo contenere pasta di mandorla, ricotta, marmellata, ecc.. A Lecce si è fatto e tramandato sempre di forma tonda, ma con il ripieno di crema pasticcera, e in questi termini potrebbe essere diventato un articolo di vendita delle pasticcerie, per venire incontro alle esigenze di consumo delle famiglie benestanti, che se lo potevano permettere e che già producevano, in privato, il pasticciotto (di forma ovale) alla crema. Un'altra differenza importante è che nel bocconotto pugliese e meridionale in genere si usa il burro per la frolla, mentre nel Salento rigorosamente lo strutto, così come prevede la ricetta del pasticciotto.
Si tratta, peraltro, quest'ultimo di un prodotto che è diventato l’emblema della pasticceria galatinese, negli ultimi vent’anni, perciò vanno date alcune informazioni.
Di fatto, il termine pasticciotto, sebbene fosse già in uso molto probabilmente solo in determinati ambienti familiari e sociali, come testimonierebbe l’inventario redatto alla morte del vescovo di Nardò Mons. Orazio Fortunato, nel 1707, evidentemente esso non apparteneva al linguaggio di larga parte della popolazione salentina, ma presumibilmente a un gergo strettamente “elitario” e in uso in una minoranza di famiglie benestanti. Peraltro, il Rohlfs non menziona il pasticciotto (decl. pasticciottu) nel suo vocabolario dei dialetti salentini. Mentre il bocconotto lo menziona, e lo descrive anche lui simile, nella sagoma, al classico bocconotto meridionale, cioè di forma tonda, ma farcito con la crema (pasticciera) e lo indica nella variante dialettale salentina: ‘buccunottu’ [Gherhard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Vol. I, p. 84], facendo riferimento a un altra fonte di fine Ottocento (1889). Quindi, anche da ciò dobbiamo desumere che, per lo meno fino ad allora, il termine ‘pasticciotto’ non appartenesse ancora al linguaggio né tantomeno alla cultura popolare salentina. Ad ogni modo, dalle testimonianze dei più anziani, a Galatina la pasticceria più antica nella quale si producevano i ‘pasticciotti’ fu il Gran Caffè di Gino Sabella, dopo il quale si aggiunse il Bar delle Rose e il caffè pasticceria “Sammartino” in piazza S. Pietro.
In pochi ricordano, tra i bar o pasticcerie più vecchie, la pasticceria di Antonio Calabretti e Giuseppina Vozza su via Vittorio Emanuele II, dove oggi ha sede la Polizia Municipale, che alcuni ritengono si chiamasse "Maffei", forse confondendolo con un altro negozio dello stesso nome in Corso umberto I. Produceva articoli quali: tarallini zuccherati, mostaccioli, bocche di dama, tranne i pasticciotti. I suoi mostaccioli erano chiamati ‘cornule’, perché, oltre ad avere un colore simile alla carruba, erano di forma allungata, quasi triangolare.
Pochissimi ricordano il Bar di Antonaci […], sito in Corso Garibaldi, affianco alla chiesetta di S. Paolo. Solo una testimonianza è stata in grado di dire che vendesse tarallini glassati e mustaccioli.
Il bocconotto, o pasticciotto, a partire dagli anni ’50 venne prodotto anche da altri bar-pasticcerie, come il Bar delle Rose, il Bar Eden, l’American Bar, il Cin-cin Bar. Una diversa crema (al burro) venne importata da Antonio (‘Uccio’) Marino, fatto venire appositamente da Lecce, nel 1955, per insegnare qualcosa ai giovani promessi pasticcieri presso il Bar delle Rose. Altri maestri pasticcieri, tarantini e siciliani, furono fatti venire in precedenza, ma per breve tempo, per lo stesso motivo. Lo stesso Enrico Surdo, notoriamente esperto nella lavorazione della frutta martorana e della pasta di mandorla, probabilmente portò queste conoscenze di arte pasticciera dalla Sicilia, avendo peraltro sposato una donna siciliana (la Sig.ra ‘Mimma’). In ogni caso, ‘Uccio Marino' (così lo ricordano gli attuali maestri più anziani) fu importante essendo stato anche il primo maestro (salentino) di Rafelino. Quest'ultimo, a sua volta, sviluppò tantissimo il proprio bagaglio di conoscenze all’estero (come diremo meglio in un altro articolo), contribuendo all’introduzione di nuovi metodi di lavorazione pasticciera, di gelateria, di cioccolateria, avviando numerose attività a Galatina e fuori (Lecce, Gallipoli, Cutrofiano, Santa Caterina, Torre dell'Orso, Fasano, Brindisi, Ostuni, S. Vito dei Normanni, ecc.), anche indirettamente, avendo iniziato decine e decine di giovani apprendisti e futuri maestri all’arte pasticciera galatinese e salentina in generale.
Sempre a memoria dei viventi, Andrea Ascalone, all'inizio degli anni '80 del secolo scorso rilevò la storica bottega e le relative attività da una sua zia. Attualmente è tenuta dal figlio Davide, che prosegue la stessa attività, nell'oneroso impegno di mantenere in vita la tradizione di famiglia e alto il prestigio della Pasticceria.
Oggi, in via Vittorio Emanuele II, 17, è possibile visitare la storica Pasticceria, dove alcuni recenti allestimenti, sia interni sia esterni, celebrano la data della sua fondazione. All’ingresso della Pasticceria, infatti, è stata posta una moquette con su impressa la suggestiva iscrizione: «Pasticceria dal 1740 Andrea Ascalone», data avallata da una recente intervista (video pubblicato nel 2015) del Titolare, e all'interno della stessa Bottega è esposto il diploma della premiazione, resa il 18 aprile 2012 (cfr. Il Galatino - Anno XLV n° 8 del 27/04/2012, p. 6), recante la dicitura: «Pasticceria Andrea Ascalone - 1745», in esito all’iscrizione al Registro Nazionale delle Imprese Storiche.
La più recente (dopo la scomparsa di Andrea Ascalone) scritta sulla moquette sembra quasi voler correggere la certificazione rilasciata dal Registro delle Imprese storiche. In realtà, la data del 1740 è già stata riportata in una pubblicazione del 2003 [cfr. Le tradizioni gastronomiche di Galatina: ricette usanze personaggi. Ricette tipiche e curiosità di Enza Luceri, a cura di Loredana Viola, Galatina, 2003, p. 63].
Rivedendo svariate altre versioni del famoso racconto, nello stesso anno (1745) sarebbero stranamente nati sia l'Impresa sia il pasticciotto (di cui, in tutta autonomia abbiamo tentato di individuare la lunga storia e gli "antenati") cioè dal colpo di genio del pasticciere Nicola Ascalone (Da Wikipedia, l'enciclopedia libera, voce: "Pasticciotto"; il famoso racconto è stato inserito nella versione del 4 nov 2006 alle 02:53, e sembrerebbe essere anche la prima volta che compare sul web), o Andrea Ascalone (articolo di Valentina Serio, 1° lug 2009), a seconda della versione, e proprio quando la famigerata Bottega stesse vivendo, a pochi mesi (fine giugno 1745, periodo della festa patronale) dalla sua apertura, una crisi dell'attività appena avviata (?). Oppure, ancora, in una terza ipotesi più recente (anonimo articolo del 20 gen 2017), la paternità sarebbe da attribuirsi a un Nicola figlio di Andrea Ascalone. Insomma, non si sa bene quale sia la versione giusta. Tra queste, la più credibile sembrerebbe voler essere quella raccontata nell'articolo, del 2009, di Valentina Serio, che peraltro attribuisce l'«originale scoperta» della storia dell'invenzione del pasticciotto a un autorevole e noto uomo di cultura quale fu Zeffirino Rizzelli, ex sindaco di Galatina, scomparso circa due anni prima (28/08/2007), autore dell'articolo "Il Pasticciotto" nell'edizione del mese di luglio 2005 de "Il Titano" (supplemento economico de "Il Galatino").
Ma mettiamo da parte, per ora, le più o meno recenti attestazioni ufficiali, come anche le varie versioni dello stesso racconto, l'unico, in verità, in grado di attestare, diciamo così, l'esistenza di pasticcerie a Galatina a metà '700.
Da ben altre fonti, apprendiamo che alla fine dello stesso secolo già esistevano «Caffettarie in numero di sei, altrettante botteghe di surbetto e gelati, venti botteghe di botteglierie di diverse specie di liguori dette trattorie...»; questo, infatti, è quanto attestato dal Procuratore fiscale della Regia Udienza di Lecce, allorquando si espresse per una valutazione dell’Università in una relazione, del 24-XII-1792, inviata alla Real Camera di S. Chiara con parere favorevole alla concessione del titolo di, poi accordata con regio dispaccio del 'città' a S. Pietro in Galatina20 luglio 1793. [cfr. Baldassar PAPADIA, Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia, Giancarlo VALLONE (a cura di), Congedo Ed., Galatina, 1984, pp. LV-LVII]
La notizia è senza dubbio interessante e appare molto stimolante ai fini di una ricostruzione storica su questo tipo di attività artigianale e commerciale su Galatina, in epoca così antica. Ad ogni modo, esistono molti documenti conservati negli archivi storici della Pronvincia che permettono a chiunque di indagare il passato, in cerca di informazioni che, in fin dei conti, possono effettivamente restituirci una dimensione più veritiera della nostra storia. Una storia che spesso è più complessa di come viene tramandata attraverso le cosiddette 'tradizioni', ma anche più affascinante di quanto ci si aspetti, richiamando in causa nomi e identità di persone del passato, sconosciute o comunque ormai dimenticate, ma che necessariamente appartengono alla storia della nostra Comunità, in quanto legate alla nostra esistenza o a quella delle persone con cui oggi ci relazioniamo mediante quel filo della memoria, a tratti latente, ma che costituisce la parte più significativa del nostro patrimonio culturale e sociale. Una storia, quindi, rispetto alla quale si può riscoprire, assieme a quella verità che restituisce autenticità e dignità ai nostri avi, una più onesta giustificazione del proprio orgoglio e del proprio senso di appartenenza.
L'idea di poter approfondire l'argomento, in cerca di notizie che potessero confermare l'esistenza di pasticcerie galatinesi a metà '700, mi ha spinto quindi ad affrontare un'indagine mediante una fonte straordinaria quale è il Catasto onciario di Galatina (1745-1754), un documento che tratta le famiglie, le professioni, le arti e i mestieri nonché i patrimoni degli abitanti di Galatina di metà Settecento. Tuttavia, a differenza di Lecce, dove ho scoperto (e raccontato), attraverso lo spoglio del relativo Catasto onciario (1755), l’esistenza di ben quattro pasticcerie e sei pasticcieri a metà '700, collocando il Capoluogo salentino, in base alle notizie oggi disponibili, in cima alla lista delle città d’Italia, e forse anche d'Europa e del Mondo, in cui ha avuto origine questa specifica attività artigianale e al relativo esercizio commerciale, a Galatina non sembrano esserci pasticcerie in quegli anni né, tantomeno, l'arte del pasticciere rientra tra quelle censite in questa specifica fonte.
Inoltre, le botteghe menzionate (di proprietà o tenute in affitto) in questo documento riguardano prevalentemente l’attività della concia e quindi, oltre il diffuso conciatore, anche il vardaro, il sellaro, il calzolaro o calzolaio o scarparo, il vertolare, forse anche il tamborrino (suonatore o fabbricatore di tamburi?). Inoltre, ai generici bottegaro e negoziante si aggiungono il negozio del merceiolo, del mercadante o mercatante, o quello dello speziale di medicina; ma la bottega doveva averla anche l’orefice, l’argentiere, il fornaro, il beccaro o macellaro, il pescivendolo, il venditore di acqua (ambulante?), l’aquavitaro e, infine, il barbiere e il parucchiere ed anche coloro i quali svolgevano altre arti: il sartore, il mastro fà legname o il semplice fà legname, il mastro ferraro o il semplice ferraro, il regolatore di botti, il caldaraio.
Tuttavia, l'esistenza di caffetterie nella seconda metà del '700 è solo uno dei sintomi di quella fase di progresso economico e sociale vissuto dalla città di Galatina in quel periodo e messo in evidenza nella relazione redatta dal suddetto Procuratore fiscale nel 1792. Apprendiamo, inoltre, che in meno di un quarantennio (dal termine del Catasto onciario, 1754) fiorirono in Galatina ben trentadue attività commerciali (caffetterie; botteghe di sorbetti e gelati; trattorie, che si occupavano anche della vendita di liquori), che in futuro si sarebbero potute congiungere, insieme a quella della ‘pasticceria’, all'esercizio della caffetteria, secondo la più recente concezione dell'attività da 'BAR'.
Le caffetterie dell'epoca, quindi, non hanno ancora molto a che vedere con la 'pasticceria' propriamente detta, a parte la produzione di biscotti, paste secche e piccole paste salate e dolcetti da accompagnare alle bevande, poiché la sua funzione essenziale era quella di servire caffè, tè, tisane e altre bevande calde. Non può trattarsi semplicemente di un caso o di un uso diverso del termine dovuto a un gergo differente se a Lecce nel '700 troviamo già menzionata la pasticceria, tale come attività artigianale ed esercizio commerciale (e nel Catasto onciario di Lecce si specifica anche dettagliatamente la destinazione d'uso delle botteghe dei pasticcieri, la cui arte veniva chiaramente tassata per 14 once d'industria), e il 'pasticciere' come 'arte'. Non è possibile stabilire, almeno per ora, se le pasticcerie leccesi producessero alcune delle paste che conosciamo oggi, come il fruttone o il pasticciotto, anche se le forme di rame stagnato, come abbiamo visto nei ricettari antichi, incluso quello del 1570 di Bartolomeo Scappi, erano già in uso e l'inventario di Nardò del 1707 peraltro lo testimonia, chiamandole 'barchiglie' e legandole al nome 'pasticciotto'.
Consultando la «Matrice di ruolo, 1810» [ASL, Direzione delle Contribuzioni Dirette, Contribuzione personale: Matrici dei ruoli e stato dei patentabili, Fascio 46, 30 Galatina – Distretto di Lecce, aa. 1810-1815], ho potuto accertare l’esistenza di alcuni individui che svolgevano l’attività di caffettiere. Alcuni di questi nomi potrebbero essere ragionevolmente connessi ad alcune delle sei «caffettarie» rilevate dal Procuratore fiscale nel 1792, ammesso che si tratti degli stessi esercenti, oppure di loro eredi omonimi o parenti.
I Caffettieri, rilevati a Galatina nel 1810, sono tre:
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CIOFFI Donato (Art. 282), caffettiere; domicilio: «S. Basilio, 19»;
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CHIRIATTI Giuseppe (Art. 300), caffettiere; domicilio: «Monache»;
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MATTEI Antonio (Art. 690), caffettiere; domicilio: «Piazza, 103».
A questi, se ne aggiunge un altro nel 1812, tale GRECO Giuseppe Tomaso (Art. 76), «caffettiere senza giovane», che probabilmente non è stato registrato in precedenza in quanto non forse avrebbe inteso comunicare, quando fu richiesto, la propria contribuzione personale per l’iscrizione alla matricola di ruolo (ai sensi del decreto del 29 settembre 1809) e poi, l’anno successivo, la disponibilità a ricevere la patente (il diritto di patente per l'esercizio di commercio, arti e professioni era stato stabilito dalla legge 27 luglio 1810, che peraltro aveva abolito la tassa sull'industria), come è successo per molti individui, che speravano di poter sfuggire a tale contribuzione.
Nel 1810, tra i vari abitanti, è registrato anche tale ASCALONE Vincenzo (Art. 45); alla voce: «Loro qualità e professione» viene descritto come «acquavitaro», cioè venditore di acquavite. Viene detto anche che in quell'anno abitasse presso la strada dei «Cappuccini», in Galatina. La notizia è molto interessante, poiché, come abbiamo accennato in precedenza, la vendita di alcolici e liquori è una di quelle attività che confluiranno nell'esercizio commerciale proprio della caffetteria, assieme, più tardi, alla pasticceria.
Altri acquavitari che compaiono in questo fascicolo del 1810 in Galatina sono: DUMA Pietro (Art. 340), GRECO Francesco (Art. 439), ROMANO Vincenzo (Art. 960), ROMANO Giovanni Domenico (Art. 962), PALUMBO Nicola (Art. 1438).
Lo stesso Vincenzo SCALONE, così si chiamava in origine, giunse a Galatina, provenendo da Galatone, intorno alla fine del '700, per unirsi in matrimonio (13 gennaio 1787) con Francesca LUPO. Risulta anche essere «caffettiere» nell’atto di matrimonio (7/6/1830) del figlio Francesco, anche quest'ultimo riportato come «caffettiere», e si potrebbe pensare che potesse esserlo stato prima della sua morte che, come si evince dagli atti notarili, è occorsa tra il 1814 [ASL, Protocolli notarili, Galatina 38/35 notaio GARRISI Donato, 1814, cc. 250 ss] e il 1817 [ASL, Prot. not.li, 38/34 not. CESARI F., 1817, cc. 44 ss] (in questo atto compare Agata Ascalone, specificando che fosse figlia del «fu Vincenzo»).
Tuttavia, vari documenti dimostrano chiaramente che Vincenzo Scalone non fosse effettivamente un caffettiere. Infatti, lo stesso censimento della Matrice di ruolo viene ripetuto gli anni successivi al 1810 ossia nello Stato dei patentabili degli anni 1811, 1812 e nelle Matrici di ruolo del 1813, 1814. Quindi, negli ultimi anni della sua vita, Vincenzo Scalone svolse, per sommi capi, lo stesso tipo di attività: nel 1811 è «Liquorista a minuto, in bottega», e abita ancora in «Strada Cappuccini, Porta N. 6»; nel 1812 cambia domicilio, essendosi trasferito in «Strada Portanova, Porta: 11» (l'attuale Via Filippo Turati?) e all’indicazione della professione è scritto: «Acquavita a minuto, in bottega»; poi è di nuovo «Acquavitaro» (1813, 1814).
Tale attività potrebbe ragionevolmente averlo portato a instradare due dei suoi figli all’esercizio commerciale della caffetteria, tanto da comparire lui stesso, postumo, come abbiamo visto nell'atto di matrimionio del figlio Francesco, come «caffettiere».
Caffettiere, quindi, sicuramente lo fu Francesco ASCALONE (il primo, peraltro, a cui fu attribuita questa variante ortografica del cognome, nell’atto di battesimo, 1798) e l'altro figlio di Vincenzo: Giovanni Andrea Innocenzo Maria SCALONE (d’ora in poi: Giovanni Andrea), come testimoniato nell'atto di matrimonio di suo figlio Francesco con Domenica Zappatore, nel 1855 [cfr. Maria Francesca NATOLO, Maria Rosaria STOMEO, Conciatori e pellai a Galatina tra XVIII e XIX secolo, estratto (pp. 89 ss) in Contributi e documenti per la storia di Galatina, Giancarlo VALLONE (introd. di), Regione Puglia – Settore P. I., Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali – Galatina, p. 106.].
Prima di tale Vincenzo Scalone, o Ascalone (variante ortografica adottata anche da lui, dopo il 1798, come da ogni altro esponente della stessa stirpe, di cui fu capostipite su Galatina), giunto a Galatina, lo ricordiamo, intorno al 1790, non ho trovato riscontro di individui con lo stesso cognome, nemmeno nel Catasto onciario di Galatina (1745-1754).
Ad ogni buon conto, forse è opportuno distinguere questa famiglia, di cui in questo articolo documentiamo la discendenza e la trasmissione dell'Impresa fino alla sesta generazione (al 1981), da quella che attualmente vanta l'esistenza della pasticceria dal 1740/45 ad oggi, cioè sino «alla decima generazione di padre in figlio». Tradizione, quest'ultima, che non possiamo confermare, sostenendo comunque che, di fatto, come vedremo in seguito, altri rami della famiglia Ascalone diedero vita ad attività imprenditoriali nei vari settori della caffetteria, della pasticceria, ma anche in quello alberghiero e della ristorazione. Riguardo i casi di omonimia, che potranno incontrarsi nel prosieguo di questo articolo, si tenga presente, inoltre, che in passato erano molto frequenti, anche in considerazione delle non rare ridondanti scelte onomastiche in ambito familiare, da una generazione all'altra, in ossequio alla memoria dei più prossimi e affezionati parenti.
Proseguendo con la lettura della Matrice di ruolo del 1813, in Galatina troviamo altri acquavitari come: DE MOLIZZA Giorgio (Art. 289), MAFFEI Antonio (Art. 77; "Venditore d'acquavite a minuto") e TORNESE Francesco (Art. 126), mentre vengono riconfermati, oltre ad ASCALONE Vincenzo (Art. 39), DUMA Pietro (Art. 320), GRECO Francesco (Art. 405), ROMANO Vincenzo (Art. 852), ROMANO Er(edi). di Nicola (Art. 845).
Si confermano caffettieri : CIOFFI Donato (Art. 251), CHIRIATTI Giuseppe (Art. 264), MATTEI Antonio (Art. 618), GRECO Giuseppe Tomaso (Art. 435). Gli stessi nominativi si riconfermano nel 1814. CIOFFI Donato è confermato in questa stessa attività anche nel 1825 [ASL, Direzione delle Contribuzioni Dirette, Giornali di mutazione di quota, Fascio 56/B, 43 Galatina ed aggregato di Noha – Distretto di Lecce, 1825]
Riguardo le cosiddette 'botteghe' dei caffettieri, ho cercato notizie su un altro documento catastale, dove risultano censiti gli abitanti e i loro beni patrimoniali, quindi fondiari e urbani (case, stanze, magazzini, botteghe, ecc.). [ASL, Direzione delle Contribuzioni Dirette, Stati di Sezione e Stati di Sezione rettificati, contribuzione fondiaria dei comuni della provincia di Terra d’Otranto, Fascio 8, 71 Galatina – Distretto di Lecce, 1807), redatti in conformità alla Legge del 1° gennaio 1807].
Dai documenti visionati, ho rilevato solo una «Bottega di Caffè», appartenente a D. Giuseppe Miglietta (abitante in Lecce). questo dato potrebbe servire, eventualmente, a identificare la sua ubicazione mediante dei riscontri incrociati con altri documenti catastali o con atti notarili, sia precedenti sia posteriori al 1807, e contribuire alla ricostruzione storica delle caffetterie antiche Galatinesi e dei relativi titolari.
In considerazione dell'antichità dell'attuale Pasticceria Ascalone, ho tenuto conto della possibilità che la bottega potesse essere registrata anche prima, negli "Stati di Sezione". Attualmente, sappiamo che è ubicata presso l'antico Palazzo Galluccio-Mezio e quindi forse è stata acquistata, da parte di qualche esponente della famiglia Ascalone, da una delle famiglie facoltose di Galatina cui era intitolato il Palazzo medesimo.
La Città, in questo documento, è suddivisa in aree geografiche denominate ‘Sezioni’ identificate mediante descrizioni urbane, secondo i riferimenti dell’epoca. Quella che mi sembra essere la più prossima all’attuale Pasticceria è la «Sezione VIII, Lettera H» che «Principia dalla Piazza. Ha per confini da Ponente l’istessa Piazza, da Scirocco la strada detta del Sedile, da Levante quella detta Marra, e da Tramontana quella detta Portanuova».
Sembra logico che il redattore si riferisse a Piazza S. Pietro, e forse anche parte di Piazza Alighieri. Da qui viene identificata la direzione ovest (Ponente), dell’area urbana denominata «Sezione VIII»; al confine nord si identifica una via che conduce a “Porta Nuova”, detta anche “Porta San Pietro”; a est (Levante) una via denominata “Marra”, che oggi non risulta più, mentre il confine a sud (Scirocco) corrisponde all’attuale Via Vittorio Emanuele II, ovvero «la Strada detta del Sedile» (il ‘Sedile’ era dove è oggi ubicato il Comando della Polizia Municipale), da dove si accede alla "Pasticceria Andrea Ascalone".
In questa Sezione si individuano alcune «Botteghe d’affitto» poste «in primo piano» (espressione che sta per “piano terra”), di proprietà di alcuni maggiorenti galatinesi: D. Girolamo Mezio (abitante in Presicce), D. Francesco Mezio (Dottore, cittadino abitante), D. Giuseppe Nicola Galluccio (cittadino abitante). Dunque, è probabile che una di queste botteghe date in affitto potesse corrispondere all’attuale "Pasticceria Andrea Ascalone".
È probabile, altresì, che l’eventuale acquisto di una bottega, dovuto all’evoluzione dell’attività di Vincenzo in quella dei due figli caffettieri (Giovanni Andrea e Francesco) potrebbe essere stata agevolata da sostegni economici provenienti da Agata Ascalone, anch’ella figlia di Vincenzo, grazie sia alla sua fortunata unione matrimoniale con il notaio Pasquale Stefanachi (forse un discendente di un omonimo notaio di Otranto) sia a una “Donazione” ricevuta da parte di «Aurelia Morrona a pro’ di Agata Ascalone e figli» (Salvatore, Luigi e Maria Clementina Stefanachi) all’epoca dimoranti in Contrada li Cappuccini; dall’atto di donazione (ne fu già revocata una precedente), inoltre, si apprende che Aurelia Morrona fosse motivata dall’affetto provato nei confronti di Agata Ascalone, da lei stessa allevata ed educata in giovane età, e anche nei confronti del Notaio suo marito, che avrebbe curato i suoi interessi. Si apprende anche che le fece dono dei beni appartenenti o appartenuti ai suoi fratelli Stefano e Francesco Morrona [ASL, Protocolli notarili, Galatina 38/35 notaio GARRISI Donato, 1814, cc. 250 ss].
Verosimilmente, la stessa Aurelia Morrona potrebbe aver lasciato in seguito ad Agata Ascalone una bottega, o parte di essa, ereditata dal padre, Aniello Morrona il quale, stando a quanto riportato nel Catasto onciario di Galatina [cc. 4r-7r], a metà ‘700 effettivamente possedeva «Una metà di Bottega affittata per annui carlini venti trè [...]». Purtroppo, da questi soli documenti non si evince dove fosse ubicata.
Fatto sta che, molto più tardi, il caffettiere Giovanni Andrea Ascalone tramandò l’attività al figlio Felice, presumibilmente nel 1860, come attestato ufficialmente nel fascicolo (1882) conservato presso l’Archivio storico della Camera di Commercio di Lecce, sulla base di una dichiarazione del figlio di Felice, Andrea, subentrato al padre, postumo (1882), come titolare erede dell'impresa “Ascalone Felice”, che poi si chiamerà "Andrea Ascalone fu Felice". Tale dichiarazione comprovante l'inizio dell'attività nel 1860 è l'unica attestazione storica disponibile, poiché la Camera di Commercio di Lecce, relativamente alle 'Arti', non disponeva di propria documentazione precedente al 1863, essendo stata istituita con R.D. del 16 ottobre 1862 n. 829.
La ditta “Ascalone Felice”, tuttavia, certamente aggiunse la pratica pasticciera alla caffetteria, e la perfezionò, come proverebbe anche una lettera di Cesira Siciliani a Luigi Mezio, menzionata in un articolo intitolato: Lettere di Cesira Pozzolini Siciliani a Luigi Mezio, in cui si legge:
«Dal 1867 al 1885 i Siciliani vissero a Bologna dove Pietro ricopriva l’incarico di professore di filosofia teoretica all’Università, mentre Cesira animava settimanalmente un salotto culturale, come già sua madre Gesualda (alla fine degli anni ’50) ed Emilia Toscanelli Peruzzi ( il “Salotto Rosso”) a Firenze.
Durante gli incontri culturali a casa Siciliani, Cesira offriva ai suoi ospiti prelibatezze galatinesi e tra queste, sembra fosse molto apprezzato “il Mezio” (“chè il suo vino qui porta il suo nome” , “Oh a quanti vini stranieri il suo fu paragonato! Ma il biondo liquor della sua vigna fu a tutti preferito.”) e Pietro non disdegnava i torroncini di Felice Ascalone […]»
Infatti, in alcuni estratti della lettera di Cesira Pozzolini a Luigi Mezio leggiamo:
«Gentiliss.mo Don Luigi
Ieri ricevemmo la cara sua e la cassetta de’ torroni e il caratello del suo eccellentissimo vino. Povero Don Luigi, anche quest’anno s’è ricordato di noi e ci ha favoriti de’ suoi ottimi doni! Come le siamo obbligati, se sapesse! Il suo vino è un tesoro anche gli amici di qui gli fanno gran festa e il Mezio ormai è famoso.
[…]
Ieri subito a tavola assaggiammo gli ottimi torroni e a Piero parve riconoscer la mano di Felice Ascalone, celebre ormai pe’ suoi dolci squisiti. Il vino vogliamo farlo riposare del lungo viaggio, e poi lo infiascheranno ed imbottiglieranno, e beveremo di cuore alla salute sua e di tutta la sua cara famiglia, che salutiamo affettuosamente. Piero dice a lei ed a tutti i suoi tante care cose, e Vituccio si ricorda alla loro memoria. Saluti l’Arciprete e gli dica che io sto ormai benino della mia costipazione; gli dica che ho spedito a Firenze alla cara malatina un agnellino e de’ suoi torroncini, che gradirà oh quanto! Grazie a lei di cuore e mi creda per sempre
Affma Sua Cesira Siciliani
Bologna, 21 aprile 73»
Da un piccolissimo indizio «e a Piero parve riconoscer la mano di Felice Ascalone» deduciamo che la bottega di Felice Ascalone non fosse l’unica a produrre articoli di ‘pasticceria’; torroni, in questo caso, ma era anche «celebre ormai pe’ suoi dolci squisiti», un'espressione generica che lascerebbe intendere che l'impresa trattasse una certa varietà di articoli. Insomma, questa lettera potrebbe indirettamente provare l'esistenza, se non l’inizio di un nesso, almeno in quel periodo, tra la produzione pasticciera e l’esercizio della ‘caffetteria’.
Il passaggio dell'esperienza pasticciera di Felice al figlio Andrea è testimoniato anche nel fascicolo del 1882, conservato presso l'Archivio storico della Camera di Commercio [Numero di iscrizione al Registro delle imprese: 5302], nel quale ufficialmente, alla voce “industria esercitata nella circoscrizione e merci prodotte” viene scritto: «Pasticceria Caffé e affini», retrodatando, come abbiamo detto, l'inizio dell'attività, da parte del padre, al 1860.
In effetti, nella seconda metà dell’’800 erano ancora attivi altri caffettieri in Galatina, come ad esempio tale Saverio CONTALDO («caffettiere»), come risulta dall’atto di matrimonio del 1862 tra il figlio Antonio e Paola Ciccardi [M. F. NATOLO, M. R. STOMEO, Conciatori e pellai a Galatina…, cit., p. 107]; oppure un fu Pietro ANTONICA («caffettiere»), padre di tale Salvatore che nel 1886 sposò Giuseppa Coluccia [Ivi, p. 109]. È possibile che questi ultimi abbiano ereditato, a loro volta, l'attività di loro antenati, e questi indizi onomastici potrebbero costituire un terreno d'indagine per eventuali nuove scoperte circa le Caffettarie del '700, rimaste anonime (come da relazione del Procuratore fiscale del 1792). Purtroppo però, gli archivisti della Camera di Commercio di Lecce non mi hanno fornito notizie circa la loro attività, né come avvio né come cessazione delle stesse, perciò è probabile che fossero state avviate ben prima del 1863, come quella di Felice Ascalone, e che siano cessate senza tramandarle ad altri eventuali eredi, quindi senza la possibilità né la necessità di registrarlo.
Oltre queste notizie, non sono riuscito a reperire, almeno per ora, altre informazioni in merito a caffetterie e pasticcerie antiche, precedenti il XX secolo.
Notizie dettagliate, reperibili presso la Camera di Commercio di Lecce, riguardano quasi esclusivamente l'originaria bottega di Felice Ascalone. Ma questo cognome contrassegna una famiglia che si rivelò essere certamente intraprendente sul piano imprenditoriale, per quanto riguarda le attività di caffetteria, pasticceria, alberghiera e di ristorazione, come dimostrano altri documenti che riguardano un altro ramo della famiglia di Galatina, per mezzo del quale fu avviato un ristorante-albergo a Santa Cesarea Terme, dalla società "Pietro e fratello", composta cioè da Pietro e Vincenzo Ascalone (figli di Salvatore e Lucia Marra). Entrambi risultano, peraltro, fratelli di Maria Addolorata Ascalone, presa in moglie da Andrea il figlio di Felice Ascalone. Alla morte di Pietro (1957), Vincenzo sembrerebbe aver gestito, tra la fine degli anni ’50 e l'inizio degli anni '60 del secolo scorso, anche una pasticceria a Maglie, dove in passato hanno avuto sede il Caffè Fiamma (vedi cartolina del 1951) e il Caffè dello Sport (vedi cartolina del 1963), di fronte a Piazza Municipio, contribuendo, forse, alla diffusione delle conoscenze dell’arte pasticciera galatinese in questa Città e nel Salento meridionale.
La bottega di pasticceria e caffetteria di Galatina, di cui abbiamo discorso sopra, proseguì la propria storia, come abbiamo detto, passando nel 1882 al figlio di Felice e di Filomena Mengoli, Andrea (n. 27/07/1865). A un certo punto fu gestita insieme all’omonimo cugino "caffettiere" [ASL, Matricole militari – Distretto di Lecce, classe 1866, matricola 1118, vol. 7, f. 232v] Andrea Ascalone (figlio di Pietro e di Vincenza Mengoli; n. 18/5/1866).
In un documento prodotto dall’Ufficio delle Corporazioni – Lecce, «“Ditta individuale” – Denuncia modifiche», viene certificata la cessazione dell’attività, in data 03/01/1939, per morte di Andrea (figlio di Felice), e rilasciata ricevuta definitiva il 09/03/1944. La ditta, in questa data, è denominata “Ascalone Andrea fu Felice”. Un atto di «Vendita di Esercizio» testimonia il passaggio di proprietà dalla vedova di Andrea, Maria Addolorata Ascalone (figlia di Salvatore e Lucia Marra; n. 20/4/1875), la quale rilevò il negozio per successione, alla figlia Filomena (n. 15/2/1908). In esso viene precisato che si tratta di «negozio e sorbetteria», e che «Detto negozio pervenne alla venditrice per successione del proprio compianto marito Andrea fu Felice giusta testamento per Notaio marino de Riccardis da Galatina del 13/02/1937, pubblicato con verbale dello stesso notaio in data 23/04/1939, registrato in Galatina il 1° maggio successivo al n. 729». La cessazione definitiva è testimoniata da un altro fascicolo in cui viene denunciata la modificazione [Numero di iscrizione al Registro delle imprese: 41604 del 27.7.1950] della «ditta Andrea Ascalone», che ora assume il nome di: «Ascalone Filomena fu Andrea», mentre il commercio esercitato consiste in: «pasticceria, gelateria e bar».
Successivamente, un documento di cessata attività, per cessione [Numero di iscrizione al Registro delle imprese: 41710 del 2.2.1952], fa risultare che la ditta, con sede a Galatina […] ora si chiama «“Andrea Ascalone” di Filomena fu Ascalone Andrea e Ascalone M. Addolorata fu Salvatore...», inizio attività: 27/07/1950, tipo di attività: «Produzione Gelateria e pasticceria con ammessa vendita». Tale attività è stata perfezionata per atto notarile di Mario Finizzi da Cutrofiano in data 11/01/1952, N. 1991. Si specifica, inoltre, che per il 'bar' Ascalone Filomena «è succeduta a Bisanelli Alberto fu Vittorio, giusto Atto di Notar Stanca Francesco, in data 27/05/1950, N. 9939» e che la licenza del Bisanelli era riferita all’attività di “osteria”, mentre Filomena chiede la modifica della dicitura in «Caffé e bevande di bassa gradazione alcolica». Poi, in data 29/01/1951 è stata richiesta autorizzazione a vendere superalcolici, un'attività che ricorda quella di acquavitaro/liquorista svolta dal suo antenato Vincenzo Scalone e che dimostra, come abbiamo detto in precedenza, che nell'esercizio del "bar" ci sarebbe stata nel tempo la congiunzione tra questa attività, la caffetteria e la pasticceria.
Nello stesso documento, alla pagina successiva viene nuovamente modificata l’attività, che stavolta consiste in: «Somministrazione al pubblico di Alimenti e bevande e pasticceria» e la ditta si chiama: «Bar Andrea Ascalone di Ascalone Filomena». Infine, sempre da questo documento risulta che Ascalone Filomena, nata a Galatina il 15/02/1908, domiciliata e residente a Galatina in Corso Porta Luce, in data 09/12/1981 ha cessato di esercitare definitivamente l’attività di «somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande alcoliche e superalcoliche e l’attività di vendita al dettaglio di pasticceria fresca e conservata» nel locale sito in Galatina avendo ceduto detto esercizio pubblico al nipote Andrea, con atto privato, registrato a Maglie.
Qui sotto, uno schema genealogico parziale della famiglia ‘Scalone’, poi ‘Ascalone’ di Galatina, con alcuni riferimenti documentali alle arti, mestieri, imprese e attività commerciali:
Bar e Caffé
di Galatina
Ricette di pasticceria
francese
(in lavorazione...)
Storia della Caffetteria
Riguardo la storia della caffetteria apprendiamo delle sue origini in Medio oriente, mentre in Europa ad acquisire la cultura del consumo del caffè e dei locali ad esso destinati sono principalmente delle città commerciali come Marsiglia, Venezia, Londra, Amsterdam, nel XVII secolo. Il "periodo d'oro" dei caffè europei è il Settecento e, sempre da Wikupedia si apprende che essi furono i «luoghi centrali nella vita commerciale e culturale delle città europee, dall'economia capitalistica alla filosofia illuministica». Essi erano il luogo di incontro della emergente borghesia in opposizione ai salotti aristocratici e sotto questo aspetto in Italia le città più importanti furono Venezia (1720), Firenze (1733), Roma (1760), Padova (1772), Pisa (1775), Torino (1780).
Rispetto a queste notizie, l'aver scoperto l'esistenza di ben 6 caffetterie in Galatina, nel 1792, pone una questione interessante circa l'importanza politica, economica e sociale raggiunta da questa Città, se confrontata con la storia delle coeve grandi città italiane appena menzionate.
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