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7. Storia del pasticciotto: tra Galatina e Lecce. Conclusioni.

 

di Alessandro Massaro [© «Tutti i diritti riservati»]

 

Veritas filia temporis

 

E veniamo finalmente al pasticciottoleccese’ o ‘galatinese’.

 

Finora, abbiamo fatto un breve excursus delle tradizioni regionali che riguardano la produzione di alcuni dolci tra loro connessi, come il bucconotto, la barchiglia e il pasticciotto, e abbiamo trovato molte tracce interessanti nelle preziosissime fonti letterarie gastronomiche italiane, che, messe insieme, segnano un percorso significativo dell’evoluzione delle ricette e del lessico, relativamente a questi specifici prodotti.

In definitiva, va compreso che il pasticciotto alla crema, che oggi si fa passare per il ‘re della pasticceria salentina’, per effetto dell’enorme propaganda prodotta pro 'Ascalone', in realtà non solo dovrebbe essere considerato un “re illegittimo”, ma altro non è, se vogliamo, che "l'uovo di Colombo", che semplicemente unisce ingredienti, componenti e forme già esistenti.

Tuttavia, vanno tenute in debita considerazione la maestria e la professionalità che hanno portato a perfezionare questo prodotto e a trasmetterne le conoscenze, che, ad ogni buon conto, si traducono in non poche differenze nella preparazione e nel gusto, tra una "scuola" di pasticceria e l’altra.

Va ribadito, dunque, che il pasticciotto alla crema è un prodotto che ha avuto la sua diffusione nel Salento nel Novecento. Ma, trattandosi di un secolo molto travagliato, per causa delle due guerre mondiali occorse durante la sua prima metà, e non essendo stati dati alle stampe dei ricettari in grado di testimoniarne l’invenzione nemmeno in area salentina, le prove più tangibili e diffuse sulla storia di questo prodotto rimangono impresse nella memoria popolare.

Perciò, il mio sforzo è stato quello di raccogliere quante più testimonianze possibile su una tradizione che, con mia stessa meraviglia, coinvolge anche le famiglie che, in un passato non tanto remoto, non erano necessariamente benestanti. Grosso modo, facendo una stima dell’età delle mamme delle persone intervistate, di età compresa tra i 60 e i 70 anni, posso dire che le forme per pasticciotti in loro possesso, e da loro utilizzate in passato, risalgano approssimativamente a un periodo ascrivibile intorno agli anni ’30 o ’40 del secolo scorso.

La crema pasticciera, elemento essenziale di questo prodotto tipico, sostituisce la non sempre reperibile ricotta, utilizzata per produrre il coevo bucconotto tarantino. Si tratta di un composto semplice che può realizzarsi con ingredienti facilmente reperibili. Anche la frolla si produce, nei paesi salentini, con lo strutto, meno caro del burro che invece trova maggior impiego nel Capoluogo di provincia.

 

Ma dove ha avuto origine questa ricetta?

La diatriba sulla paternità del pasticciotto, come abbiamo accennato nel precedente articolo, ha riguardato Lecce e Galatina sin dalla fine dello scorso secolo. Tuttavia, è indiscutibile che ci siano state delle reciproche contaminazioni, dovute allo scambio di metodi di lavorazione e di conoscenze, quando si sono create delle opportunità di collaborazione tra pasticcieri leccesi e galatinesi, nei rispettivi paesi di appartenenza.

Nonostante ciò, le rispettive ricette, leccese e galatinese, differivano in alcune cose fino agli anni ‘60, e oggi differiscono in altre, tanto da evidenziare una specificità del pasticciotto galatinese rispetto a quello leccese. Non si tratta solo di tipologia di ingredienti, come in principio, quanto anche nelle loro quantità (nello strutto, ad es., le proporzioni tra farina, zucchero e strutto è per Lecce: 1 - 0,5 - 0,5; per Galatina1 - 0,4 - 0,4. Differente anche l'impiego delle uova: intere o senza albume in toto o in parte; ecc.) negli ingredienti aggiuntivi (importanti anche gli aromi: alcuni leccesi usano aggiungere del liquore, ad esempio, nella torta pasticciotto; a Galatina in passato si usava molto, per influenza dei maestri siciliani, aggiungere buccia d'arancia nella frolla e la crema veniva fatta al limone, mentre ora si usa aggiungere di più la vaniglia nelle componenti essenziali) e nel procedimento, che conferiscono un risultato finale diverso, in termini di aspetto, di cottura e di gusto. D’altra parte, a Galatina, che in percentuale, in confronto a Lecce, ha una considerevole presenza di pasticcerie rispetto agli abitanti, la maggior parte dei pasticcieri deriva in maniera certa la propria esperienza da maestri ben precisi.

Per quanto concerne le origini di questo prodotto, tralasciando i già menzionati racconti più o meno fantasiosi, alcune ‘voci’ popolari leccesi attribuiscono la ricetta del pasticciotto ‘leccese’ a un napoletano, di cui però non si sa nulla. Qualcun altro sostiene che in principio il pasticciotto originale fosse farcito di crema di pistacchio, un ingrediente senz'altro poco reperibile, in realtà, e che non appartiene alla nostra tradizione, semmai qualcuno ha iniziato a impiegarlo in tempi più recenti nella farcitura del pasticciotto.

Tuttavia, tra le interviste fatte ad alcune persone anziane leccesi, ho riscontrato come anche qui ci fossero alcune famiglie, benestanti, che usavano produrre il pasticciotto alla crema, come anche la cosiddetta ‘barchiglia’, una pasta simile all’attuale fruttone, ma di dimensioni più grandi, e ben diversa da quella descritta da Gerhard Rohlfs, ossia una pasta tonda ripiena di crema. Una di queste persone, ottantacinquenne, testimonierebbe che a Lecce il pasticciotto, così chiamato, farcito alla crema pasticciera veniva già prodotto dalla Pasticceria “Sciarlò” per lo meno negli anni ’40. Sosterrebbe anche che 'buccunotto' fosse il termine maggiormente utilizzato a Lecce, ma che probabilmente si trattava di una voce dialettale utilizzata per lo stesso tipo di prodotto.

 

Ma se volgiamo lo sguardo ad altre città della provincia di Lecce, anche a Gallipoli negli anni ’40 la Pasticceria Ingrosso produceva il buccunotto alla crema, nella forma ovale, quindi possiamo anche qui ritenere il termine come sinonimo di pasticciotto.

Ma, questa equivalenza di termini, che abbiamo già riscontrato nel lessico del ricettario di Giovan Battista Crisci (ricordiamo i «Pasticciotti in boccone ripieni di gelo di cotogni» e i «Bocconetti di gelo di cotogna», dello stesso autore), lo ritroviamo anche nell’ambiguità della lingua parlata, tra italiano e dialetto, dalle comunità salentine.

Ancora oggi sussiste anche a Galatina l’equivoco o il dubbio che, secondo la cultura galatinese del secolo scorso, il buccunotto e il pasticciotto fossero il medesimo prodotto. Non è proprio così. In più di una circostanza si è avuta una compenetrazione di culture da cui è dipeso a un certo punto un utilizzo indiscriminato dei due termini, che ha dato luogo a questo equivoco.

Mentre, infatti, a Galatina già negli anni ’30 si produceva sia il pasticciotto sia il buccunotto (diverso nel contenuto dal buccunotto leccese) distinti per ingredienti e forma, sempre a Galatina negli anni ’50 abbiamo rintracciato, in almeno un caso, quando ebbero luogo alcune influenze della cultura pasticciera leccese.

 

Non vanno dimenticati, infatti, i contributi apportati  dal maestro Uccio Marino (cl. 1926), fatto venire da Lecce presso il Bar delle Rose da Armando Antonaci, nel 1955. I maestri Fedele Uggenti (cl. 1948) e Orazio Contaldo (cl. 1951) ricordano che all’epoca era un maestro di notevole esperienza, completo nelle proprie conoscenze d’arte pasticciera, che trasmise senza remore al maestro Rafelino Bello (cl. 1937) e poi a diversi altri giovani apprendisti, fino alla fine degli anni ’60, avendo operato tra il Bar delle Rose, l’American Bar e il laboratorio di Silvano Rollo in via Marche, dove oggi c’è ancora il forno. Tra i primi discepoli e collaboratori di Uccio Marino ricordiamo: Orazio Contaldo, i fratelli: Leonardo, Luciano e (indirettamente) Antonio Cuna, Maurizio Codazzo, oltre a Aurelio Lagna, che ha appreso l'arte da Leonardo Cuna ecc..

Di ritorno, Rafelino Bello, rientrato definitivamente dall’estero a seguito di un grave incidente stradale, dalla fine del 1969 venne adabitare a Lecce. Qui lavorò per diversi anni presso l’Haiti e La Torinese di ‘LillinoMarzo, diffondendo la cultura del pasticciotto galatinese e di altri prodotti galatinesi, incluso il rustico, tenendo conto che Rafelino importò dall’estero, tra molte altre novità, anche la tecnica per la lavorazione della pasta sfoglia. E fu probabilmente, dalla sua collaborazione con un altro suo grande amico, il maestro Enrico Surdo, che fu ideato il rustico 'leccese', prodotto da quest’ultimo per la prima volta a Galatina, alla fine degli anni ’60, presso l’American Bar (fonte: Orazio Contaldo).

Anche il maestro Uccio Marino rientrò per pochi anni a Lecce, ritornando a collaborare con ‘Lillino’ Marzo, e oramai anche la sua produzione aveva assorbito qualcosa della pasticcieria galatinese, incluso l’aspetto del pasticciotto, in particolar modo la tipica forma ovale.

Fino ad allora, infatti, a parte l’eccezione di Sciarlò, e forse di poche altre pasticcerie, a Lecce il buccunotto (pasticciotto) aveva un aspetto diverso.

​L'unica fonte letteraria novecentesca che ci viene in aiuto in questo senso è il Vocabolario di Gerhard Rohlfs, scritto tra il 1956 e il 1961. Si tratta del Vocabolario dei dialetti salentini (M. Congedo Editore), in cui non si fa menzione del pasticciotto, o pasticciottu, in dialetto, bensì [lu] buccunottu, indicandone precisamente la produzione a Lecce. La nota più interessante è la descrizione fisica di questo prodotto leccese, ossia una «specie di dolce rotondo ripieno di crema», definizione, quest’ultima, corrispondente, come abbiamo accennato, anche alla voce: barchiglia. Questo dimostra che, se non tutti, la maggior parte dei pasticcieri leccesi non faceva il pasticciotto ovale, che già si faceva a Galatina e a Gallipoli in quegli stessi anni. E, d'altro canto, questo fatto mi fu confermato da Cosimo Tedesco (ex venditore di accessori di pasticceria), che mi disse, durante un'intervista, che la maggior parte delle forme vendute ai pasticceri leccesi, fino agli anni '60/'70 erano tonde in quanto prodotte in serie industrialmente. Tuttavia, sosteneva anche che, in un modo o nell'altro, di massima la distinzione tra buccunotto e pasticciotto, a Lecce, consistesse nella forma, rispettivamente tonda e ovale, e che vi fosse un artigiano che faceva le forme ovali, tale «mesciu Antoniu 'curtu'» di cui non conosce il cognome e di cui dice di avere una forma originale (ma che, alla fine, dimentica di farmi vedere).

 

Ritorniamo a Galatina.

In cerca di tracce sulla storia del pasticciotto, attraverso alcune testimonianze viventi, sono giunto a intervistare la nipote di un maestro pasticciere del secolo scorso, il primo di cui si abbia memoria, che abbia prodotto e commercializzato il pasticciotto alla crema nella classica foggia ovale. Si tratta della Signora Gilda Turlo (d’ora in poi: Gilda o Gilda Turlo), la quale mi ha rilasciato un’intervista nel 2017.

 

Suo zio fu proprio il maestro Luigi Sabella (d’ora in poi: Gino Sabella), classe 1909.

Gilda Turlo (cl. 1935), racconta di essere stata agente di Rizzoli Editore, e concessionaria Buffetti ed ebbe come sede della propria attività dapprima il locale presso Palazzo Gaballo, in via Vittorio Emanuele II; poi in via Gallipoli.

Sostiene che «lo zio Gino» iniziò come apprendista presso un laboratorio di Sammartino all’età 10 anni circa. Racconta di un’altra famiglia di Sammartino di Santa Cesarea Terme, ma non è stato possibile rintracciarne l’esistenza.

La figlia di Gino Sabella, Carmen, in maniera del tutto indipendente, mi ha detto di ricordare che il padre avesse avuto come maestro un pasticciere siciliano, presso Sammartino da cui avrebbe imparato la maggior parte delle conoscenze di arte pasticciera.

 

Non posso non dichiarare il sospetto che Gilda Turlo avesse ricordato male il cognome degli esercenti di Santa Cesarea Terme, poiché nella stessa località operarono i due fratelli Pietro e Vincenzo Ascalone, la cui sorella fu sposata con Andrea Ascalone, pasticciere e proprietario dell'omonima pasticceria di Galatina. Questo sospetto nasce da due ragioni, fondamentalmente. La prima è che alcuni galatinesi sostengono che la crema pasticciera fu introdotta dalla famiglia Ascalone a Galatina, anche se questa notizia non è corroborata da alcuna documentazione (peraltro, questi stessi hanno sostenuto anche la validità del racconto inventato da Zeffirino Rizzelli). L’altra, connessa alla prima, è che i pasticcieri siciliani non hanno adoperato la crema pasticciera in Sicilia (come a Galatina del resto) sino ai primi del ‘900, quando si ritiene che sia stata introdotta da dei pasticcieri provenienti dalla Svizzera.

Ma, non avendo notizie certe di questi pasticcieri siciliani che hanno operato a Galatina, presso Sammartino, rimane irrisolto questo dubbio. Fatto sta che la nostra bocca di dama è del tutto simile nell’aspetto ai seni di Sant’Agata che si producono a Catania, ma utilizza la crema pasticciera anziché la ricotta. Dunque è facile immaginare che questa simbiosi tra un prodotto siciliano e un ingrediente non utilizzato normalmente dai pasticcieri siciliani sia avvenuta a Galatina, probabilmente o presso Sammartino o presso il Gran Caffè di Gino Sabella.

Comunque stiano le cose, il Gran Caffè fu aperto da Gino Sabella all’età di 17 anni (1926) in corso Re d’Italia, di rimpetto al Convitto Colonna. Pochi anni dopo, nel 1931 aprirà anche l’Elis Bar, in via Principessa Iolanda.

Le sue vetrine sono quelle più fornite a Galatina negli anni ‘30; perciò, oltre alle classiche paste secche, bocche di dama, fruttoni e mustaccioli, espongono anche: torroncini, i cosiddetti dolcetti della sposa o sospiri, gli sciù (dal nome della pasta francese: choux) ossia delle specie di grossi bignè alla crema, africani, taralli glassati (‘nnasparati), mostaccioli, quaresimali, paste alla frutta, paste alla marmellata. Fa anche i primi pasticciotti, di cui all’epoca era famoso, e li distingue dai buccunotti di forma tonda, ma ripieni di pasta di mandorla e/o di mandorle tostate.

















 

Gino Sabella, celebre artigiano del pasticciotto galatinese, e il suo Gran Caffè, tra la fine degli anni '20 e gli anni '50 del secolo scorso.

​Gino Sabella produce anche pezzi duri, la cremolata e vari tipi di torte, in genere ordinate per varie occasioni, e ne spedisce anche in America in confezioni di legno. Non manca di offrire servizi di banqueting in occasione di cerimonie relative ad eventi civili o religiosi familiari. Produce i classici dolci di pasta di mandorla, quindi i classici pesci e gli agnelli pasquali, ma anche frutta d’ogni tipo e ortaggi, servendosi di stampi in gesso realizzati da lui stesso. Gilda Turlo, ricorda che riproducesse, con un realismo impeccabile, anche dei piatti di ciciri e tria (pasta e ceci), sempre in pasta di mandorla, in piatti di copeta. Gino Sabella è il primo a Galatina anche a fare le zeppole (napoletane) di S. Giuseppe, fritte rigorosamente nello strutto, proprio come prescritto nei ricettari antichi.

 

La sua attività è stimolata dalla frequenza di studenti e insegnanti provenienti dal prospicente Convitto "Colonna". Questo, nel tempo, ha fatto sì che si adeguasse alle esigenze della clientela più esigente, ma al tempo stesso ebbe l’occasione di far conoscere le sue creazioni a famiglie facoltose di Lecce e provincia, che mandavano i propri figli al Liceo classico di Galatina.

 

 

 

 

 

 

 

Corso Re d'Italia. Nella fotografia a destra, si può notare il Gran Caffè sulla sinistra e il Convitto "Colonna" sulla destra.

 

Gilda ricorda che la sua famiglia aveva il negozio di generi alimentari in via Roma e che vi fosse, tra le altre cose, un frequente approvvigionamento di pesce da parte di pescatori di Gallipoli. Con questi pesci, «lo zio Gino» faceva le forme in gesso per le sue creazioni di pasta di mandorla. Probabilmente, ipotizza, fu proprio grazie a questi frequenti contatti con i gallipolini che la forma (ovale) del suo pasticciotto giunse anche a Gallipoli. Non lo sappiamo con certezza. Ma, d’altronde, «lui non era geloso delle sue conoscenze; tutt’altro» dice Gilda Turlo. «I pasticcieri di allora si scambiavano le conoscenze, non come ora», mi assicura. 

 

E mi informa anche che Gino Sabella non avesse difficoltà a prendere con sé dei giovani ai quali insegnare l’arte ed anzi dava loro anche la ‘paghetta’, all’occorrenza. Il suo esercizio non prevedeva la figura del banconista, perciò i ‘ragazzi’ erano assieme a lui nel laboratorio. Tra questi, ricorda: Piero Gatto, Pietro Esposito (padre di Leonardo, dell’omonimo bar in via Soleto), forse anche Biagino Gaballo (Santis Bar, in piazza S. Pietro) e Uccio Matteo (Mini Bar, in Corso Principe di Piemonte). Altre testimonianze dicono che anche Andrea Ascalone (cl. 1939) iniziò a frequentare il laboratorio di Gino Sabella, tra il 1953 e il 1954. Non si sa di preciso il perché, visto che Andrea Ascalone aveva il padre, Salvatore, erede naturale del laboratorio di pasticceria dell’omonimo nonno di Andrea. Qualcuno ritiene che padre e figlio non andassero molto d’accordo, o forse perché Salvatore (‘padronu Totu’) pur essendo pasticciere, non amasse molto quest’arte, essendosi dedicato molto agli studi classici. Teniamo conto che normalmente i pasticcieri venivano iniziati all’arte o già all’età in cui frequentavano le scuole elementari o al termine della scuola dell’obbligo.

 

Fatto sta che Gilda Turlo non lo ricorda la frequenza di Andrea Ascalone presso Gino Sabella, poiché a diciotto anni era a Roma.

Ricorda, invece, che ben prima, a 14 anni (1949) aiutava lo «zio Gino» a fare i pasticciotti. Li faceva proprio lei, e li cuoceva con un semplice fornello elettrico da cucina, dove ne entravano massimo due dozzine per volta. È stata, in pratica, la prima pasticcera a fare i pasticciotti a Galatina, prima di tanti maestri galatinesi, tra i più famosi. Mi mostra un fagotto pieno di formine per pasticciotti e mi fa dono di alcune di esse. Tutte prodotte artigianalmente dagli stagnini galatinesi. Una figura, quella dello stagnino, che oggi non esiste più, da quando è scomparso l’ultimo di loro: Pietro Giaccari, all’età di novant’anni. Gilda ricorda di aver assaggiato il suo primo pasticciotto ad appena un anno di età. Sostiene con orgoglio che il profumo e il sapore del pasticciotto dello «zio Gino» non aveva eguali a Galatina e che rimase profondamente delusa quando, da bambina, assaggiò un pasticciotto fatto da un'altra pasticceria.

 

Ma, Andrea Ascalone, che fece del pasticciotto il proprio cavallo di battaglia, non si perfezionò subito in questo prodotto, aspettando il suo rientro dall’estero, dove vi rimase all’incirca tra il 1958 e il 1967. Al rientro acquistò un forno Bosh-Siemens, prodotto in Germania intorno al 1967, e da allora iniziò i propri esperimenti.

Intanto, Rafelino e il suo maestro Uccio Marino (di Lecce), tra gli anni ’50 e gli anni ’60 insegnavano a produrre tutti gli altri generi di prodotti di pasticceria a tanti altri giovani apprendisti. Rafelino, infatti, in quegli anni lavorava all’estero, ma di quando in quando veniva in ferie o in aspettativa a Galatina, chiamato apposta dalla madre, per conto di alcuni esercenti, per avviare o per sostenere l’attività di alcuni bar, come il Bar delle Rose, il Bar Eden, l’American Bar, e, al contempo, istruire altri giovani operai.

Dopo i primi anni a Lecce, nel 1974 Rafelino aprì il bar omonimo in via Gallipoli a Galatina e, nel 1978, aprì il primo bar a Santa Caterina, marina di Nardò, ench'esso chiamato Bar Rafelino, poi venduto a Sebastiano Potenza (da cui il nome: "Sebastian"). Oltre a gestire i propri bar-pasticcerie, produceva pasticceria e rosticceria presso altri esercizi commerciali: a Galatina, a Gallipoli (presso i fratelli Scorrano in un bar ubicato di fronte il Teatro “Schipa”), a Lecce (presso l’Haiti e La Torinese di ‘Lillino’ Marzo), a Corigliano (presso il Bar Poker), a Cutrofiano (all’Amico Bar). Gestì il ristorante dello Chalet delle Serre (poi: Quartiere Latino). A Torre dell'Orso gestì il Caffè del Teatro e poi l’Orso Club.

Negli anni in cui fu a Galatina, Rafelino era il Maestro incontrastato: nessuno aveva la sua esperienza, le sue intuizioni, la sua manualità. Nessuno aveva la sua conoscenza della cioccolata e nessuno più di lui aveva importato novità a Galatina, anche di pasticceria e di gelateria. Molti segreti li aveva carpiti da altri grandi maestri in Svizzera e nel Regno Unito, avendo fatto parte dei pasticcieri e chefs della Regina Madre d’Inghilterra. Diversi episodi raccolti da varie interviste, testimoniano la sua scaltrezza, la sua capacità di carpire i segreti, presso i laboratori di altri maestri artigiani, come dimostra una propria corposa raccolta (privata) manoscritta di appunti, in diverse lingue straniere.

Tuttavia, a un certo punto, dallo sfottò di alcuni amici in comune con l’amico Andrea Ascalone, nacque una vera e propria competizione tra i due su chi facesse meglio il pasticciotto.

 

L’episodio specifico mi fu raccontato da un testimone oculare: R. Sergio Frassanito. Sembra che lui assieme ad alcuni amici comuni ad Andrea Ascalone e Rafelino, andarono un giorno a trovare quest’ultimo presso il suo bar, per prenderlo in giro riguardo il fatto che non facesse i pasticciotti buoni come invece li faceva Andrea Ascalone. Un’affermazione che fece adirare il maestro Rafelino tanto da indurlo a cacciarli dal Bar. L’episodio risalirebbe alla seconda metà degli anni ’70.

Queste le parole di Sergio Frassanito:

«Con Andrea, del pasticciotto galatinese [Rafelino] era in competizione per chi era il migliore. Ricordo che quando entravamo al suo bar, insieme a Franco Maglio, a mio fratello Enzo e al Prof. Lafi, per prenderlo in giro dicevamo che i pasticciotti di Andrea erano migliori dei suoi e lui si arrabbiò come una bestia e ci cacciò fuori dal locale, esattamente come [soleva fare] Andrea».

 

Rafelino, aperto a Galatina il proprio bar intorno al 1974, non mancava di dimostrare nelle più svariate circostanze le proprie qualità, esaltandole con il proprio carisma e il lavoro dei numerosi giovani operai di cui disponeva nelle più svariate occasioni.

D’altra parte, il suo più affezionato amico, Andrea Ascalone, lo invitava a desistere dall’elargire le sue conoscenze a così tanti giovani aspiranti pasticceri, per propri timori competitivi.

Fu questa la ragione per cui, Andrea Ascalone cercò di specializzarsi su un prodotto in particolare e a raggiungere una sicurezza tale da far accrescere la nomea della sua indiscussa superiorità sul pasticciotto.

Da un lato, iniziò a formarsi un filone di estimatori del pasticciotto di Andrea Ascalone. Dall’altro, si cercò di esaltarlo e diffondere il messaggio che fosse di qualità superiore persino del Maestro più celebre all’epoca: Rafelino.

Solo in tal modo, Andrea Ascalone riusciva a superare la rivalità dello storico amico.

 

Da un racconto di Gilda Turlo emerge come a un certo punto Rafelino cercasse la “chiave” per eguagliare la ricetta di Andrea Ascalone.

Gilda Turlo, da parte sua, racconta che quando aveva il suo negozio (Buffetti) ad appena un isolato dal Bar Rafelino, in via Gallipoli, Rafelino andava a trovarla ogni tanto per pregarla di fare dei pasticciotti per lui, «perché gli piacevano molto». A conferma di ciò, Maria Luce Uggenti, vedova di Rafelino, sostiene che, per contraccambiare, spesso anche Rafelino portava a Gilda Turlo delle torte o dei dolci che le potessero piacere.

Queste attenzioni lusinghiere confermano il fatto che Rafelino fosse interessato a conoscere la ricetta del pasticciotto di Gilda Turlo, come lei stessa conferma avergli infine fornito.

Il motivo, molto probabilmente risiede nel fatto che Rafelino, amico intimo di Andrea, sapeva che quest’ultimo, avendo fatto esperienza da giovane presso Gino Sabella, adoperava ancora la sua ricetta originale o comunque da essa era partito per elaborarne una propria, ma che non gliel'avrebbe mai rivelata. Rafelino, invece, si era mosso poco al di là della ricetta leccese di Uccio Marino e in effetti c’erano delle differenze sostanziali tra il ‘bucconotto’ leccese e il pasticciotto galatinese (come abbiamo già accennato).

Perciò, verosimilmente, Rafelino sperava di carpire, attraverso Gilda Turlo, i segreti della ricetta del pasticciotto di Gino Sabella (che peraltro, proprio nel 1975 sospese l'attività e morì l'anno successivo).

Questo è confermato, indirettamente, anche da Gilda Turlo, la quale racconta che, quando diede la ricetta a Rafelino, questi le chiese se fosse effettivamente quella, perché «gli sembrava come se mancasse qualcosa», ma lei confermò che lo fosse, raccontandogli di come spesso li avesse fatti lei stessa, sin dall’età di 14 anni, per la pasticceria dello “zio Gino”.

In sostanza, è plausibile che Rafelino, data la sua grande esperienza, abbia cercato la ricetta originale di Gino Sabella per derivare, dalla stessa, quella differenza nella preparazione che rendeva il pasticciotto di Andrea Ascalone, a dire degli amici, migliore dal proprio.

È innegabile che molti pasticceri galatinesi, le cui conoscenze derivano, per la maggior parte, direttamente o indirettamente sia da Gino Sabella e sia, soprattutto, da Rafelino, oggi producono il pasticciotto tipico galatinese, con proprie caratteristiche di qualità, ingredienti, sapore ed estetica, non tanto dissimili dal più glorificato e pubblicizzato pasticciotto  di 'Ascalone'.

Fatto sta che, nello stesso anno (1997) della scomparsa di Rafelino, iniziò a formarsi a favore del pasticciotto di Andrea Ascalone un filone letterario elogiativo, passando per le descrizioni erotiche di Gino Anchora (Sessanta righe in cronaca – ritagli di giornali e di ricordi – Bibliotheca Minima, 1997) e la formulazione di alcune versioni fantasiose sulla storia del suo prodotto.

In particolare, in concomitanza con l’abbandono definitivo dell’attività del bar, nel 2003, e rimanendo esclusivamente quella della pasticceria, comparvero, tra i primi racconti elogiativi e fantasiosi riguardanti la storia del pasticciotto: il ricettario locale a cura di Loredana Viola (Le tradizioni gastronomiche di Galatina Ricette tipiche e curiosità di E. Luceri, Centro sul tarantismo e costumi salentini, Galatina, 2003) e l’articolo di Zeffirino Rizzelli (Il pasticciotto, «Il Titano», 2005), che daranno seguito a una sequela di articoli publiredazionali sul web e riviste dedicate al turismo.

 

La naturale conseguenza di questa disinvolta operazione di marketing, marcatamente a vantaggio di un’unica impresa galatinese, consiste, a mio avviso, nell’aver trascurato tutto l’aspetto storico che ha realmente portato ad elevare l’arte pasticciera galatinese rispetto a tantissime altre località, potendo vantare ancora oggi un notevole livello in termini di qualità e di varietà di prodotti artigianali.

Perciò, l’intero Settore, nel territorio leccese, andrebbe rivalutato, riconoscendo le eccellenti qualità professionali degli artigiani locali, di cui andrebbe maggiormente valorizzata la storia, ovvero l’ascendenza culturale gastronomica verso quei Maestri che nel secolo scorso hanno rivoluzionato l’arte pasticciera.

Sorvolando le prove storiche documentali che screditano la storiella che vorrebbe nascita del pasticciotto ad opera di un antenato galatinese degli Ascalone nel 1745, e sapendo che non vi sono, in realtà, testimonianze letterarie concrete in grado di provare l’invenzione del  pasticciotto leccese nemmeno in area salentina, abbiamo comunque ricostruito, a grandi linee, quelle che sono state alcune delle tappe evolutive fondamentali del pasticciotto e delle ricette chiave che hanno guidato in modo naturale anche alla produzione di questo prodotto specifico, indicando comunque Galatina come il luogo di riferimento fondamentale della sua prima produzione e commercializzazione, ma anche di evoluzione, scambio e di propagazione delle conoscenze.

 

Per fare ciò, è stato necessario compiere un salto storico di diversi secoli, sondando le tracce più significative della storia gastronomica europea e italiana ovvero, più nello specifico, dei prodotti tradizionali dell’arte pasticciera.
Abbiamo individuato, quindi, le tappe salienti del percorso evolutivo sia del nome sia delle componenti del pasticciotto, attraverso le fonti letterarie più attendibili sull'argomento: i ricettari gastronomici antichi, partendo da una ricetta antica (1570) di Bartolomeo Scappi, mettendo in rilievo le testimonianze dei ricettari di Vittorio Lancellotti da Camerino (Lo Scalco Prattico, Roma, 1627), Giovan Battista Crisci (Lucerna de Corteggiani, Napoli, 1634), Antonio Latini (Lo Scalco alla Moderna, Napoli, 1694), e analizzando infine i suggerimenti contenuti nei ricettari di Vincenzo Corrado (Il Cuoco Galante, Napoli, 1778) e di Ippolito Cavalcanti (Cucina teorico-pratica, Napoli, 1837).

 

A Bartolomeo Scappi si devono certamente anche la trasmissione e l’evoluzione di molte altre ricette italiane, in particolare meridionali e certamente anche di ricette ‘tipiche’ salentine, anche per quel che riguarda la produzione dolciaria, avendo assimilato, queste ultime, le conoscenze delle ricette “guida” per la creazione della pasta sfoglia, della pasta frolla, della crema pasticcera, ecc..

 

Va certamente attribuito a lui, quindi, il merito di aver fissato per primo anche la ricetta chiave per giungere al pasticciotto 'leccese', associando la ricetta della crema, a suo dire di derivazione francese, con dei metodi specifici ed alternativi di preparazione, suggerendo altresì anche la facoltà di variarli a proprio piacimento. Suggerimento questo osservato da pochi pasticcieri  capaci di osservare i precetti della tradizione e tentare nuove soluzioni innovative, tralasciando il più diffuso pregiudizio dell'utilizzo esclusivo della crema pasticciera, come unico elemento della 'tradizione'.

 

 

    

      [Bartolomeo Scappi, Opera - Larte Et Prudenza Dun Maestro Cuoco, Venezia, 1570 -  Libro V, «Per fare pasticci in diversi modi di composizione di crema»]

 

Da Bartolomeo Scappi, peraltro, viene il suggerimento persino di servirlo caldo, una eco giunta fino a noi, come viene ancora consigliato in innumerevoli siti. Tuttavia, il 'Cuoco dei papi' non ha prescritto la chiusura dei suoi pasticcetti alla crema, mentre il suggerimento verrà dato più tardi (1773) da VIncenzo Corrado, che userà l'espressione "tra la frolla" e infine da Ippolito Cavalcanti, che nel 1837 descriverà più dettagliatamente il metodo per chiudere l'involucro di pasta frolla con una 'pettola'.

Il Cavalcanti, infatti, come abbiamo già visto, nella ricetta salata: «Pasticcetti di pasta frolla» scrive: «[...] Potrai fare li tuoi pastiecetti, o tagliati col taglia pasta, o nelle formette, o nelle varchiglie...». Ma abbiamo anche visto le sue ricette di dolci e torte farcite con crema pasticciera, che riconducono tutte all’idea del pasticciotto, e che peraltro menziona lui stesso nella «Pizza doce co la pasta nfrolla»: «[...] Co la stessa pasta, e co la stessa mbottunatura può fa pure li pasticciotti».

 Il termine pasticciotto è stato usato dagli altri autori di ricettari secenteschi, pocanzi ricordati, ed in effetti è ben più antico.

Infatti, come abbiamo accennato nel precedente articolo, il termine 'pasticciotto' è in uso a Roma già in periodo rinascimentale, come testimoniato dalla lettera (30 aprile 1538) di Annibal Caro a Silvestro de Prato, tenendo conto che lo stesso Annibal Caro era considerato dal Vasari un amico di Michelangelo Bonarroti, il celebre artista vicino all'ambiente papale esattamente come lo fu lo stesso Bartolomeo Scappi. [1]

 

Certamente, fino al primo trentennio del '900 il termine 'pasticciotto' non apparteneva ancora al linguaggio comune in territorio salentino, bensì probabilmente a un gergo strettamente limitato alle classi più elevate, quindi utilizzato in ambiente domenstico in poche famiglie. Peraltro, Gherard Rohlfs non menziona la voce pasticciottu nel suo vocabolario dei dialetti salentini. Diverso il discorso per la voce buccunottu, che descrive simile, nella sagoma, al classico bocconotto meridionale, cioè di forma tonda, ma farcito con la crema (pasticciera) [G. Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Vol. I, p. 84], cioè esattamente come veniva chiamato a Galatina, dove alcune testimonianze sostengono che tra i primi esercizi commerciali, di cui si abbia memoria, che abbiano prodotto e smerciato i "buccunotti" furono il Caffé-Pasticceria "Sammartino" di Carlo Sammartino, e il Gran Caffè di Gino Sabella, che già tra la seconda metà degli anni '20 e i primi anni '30 produceva sia il pasticciotto, di forma ovale e farcito di crema pasticcera, sia il buccunotto (di forma tonda e farcito di pasta di mandorla).

 

Cartolina (1925) di Galatina: sulla sinistra il Caffé pasticceria "Sammartino", angolo tra Piazza Dante Alighieri 20 e via Pietro Siciliani.

Galatina, 19 ottobre 2015

(ultimo aggiornamento 18 aprile 2019)

Note

[1] Ringrazio per la segnalazione di questa notizia Daniela Saba.

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